lunedì 11 luglio 2016

CONFESSIONI DI UN MASSONE IN RIMINI PEOPLE






A mio parere l’impegno massonico di oggi deve essere una missione aperta ed eccelsa: senza annunci teorici. Ha l’obbligo di coinvolgere i propri affiliati nell’impegno pratico di una uguaglianza e fraternità che portino sollievo a una società sfinita da troppi poteri, con salari insufficienti, mancanza di case, lavoro che prevede la sfruttamento  e implica pericoli ed infermità.
Bisogna che la massoneria si impegni contro le oligarchie, il feudalesimo agrario, la concentrazione dei monopoli con regole antiumane ed antisociali.
È indispensabile che tutti abbiano la possibilità di avere accesso alla intera cultura . Viviamo in un sistema che non integra uomini liberi e di buoni costumi, ma costringe gran parte delle persone ad alienazione, frustrazione e miserie. Può la massoneria chiudersi nelle sue logge e non cambiare in questo senso il mondo?
In quanto politico militante ho due scelte: adattarmi alla meschinità e tacere, oppure disconoscere il mio impegno in questa massoneria.

Non sono parole mie, ma potrei sottoscriverle quasi per intero. Al massimo, potrei con più aderenza all’oggi sostituire quel “feudalesimo agrario” con un feudalesimo “bancario”. Eh, già… perché sono le parole che Salvador Allende pronunciò in una sua “tavola” (la tavola, nel gergo massonico, è un discorso fatto in loggia) del 2 giugno 1965, constatando uno stato di cose che non interruppe la sua militanza massonica, che, anzi, ne ricevette nuovo slancio e vigore.
Sto parlando di Salvador Allende che, fedele a una tradizione familiare che risale al padre e al nonno paterno, una figura indelebile nella memoria del nipote, il dottore Ramón Allende, che pagava le medicine dei suoi pazienti indigenti ed era stato Gran Maestro della Gran Loggia del Cile … dicevo di Salvador Allende, che, nella notte della sua iniziazione, il 18 luglio 1935, nel suo testamento massonico (nella libera muratoria il documento che si compila prima di “morire alla vita profana”) rispondendo alla domanda su quali fossero i suoi doveri verso l’umanità scrisse: L’uomo è solo un ingranaggio del conglomerato sociale, di conseguenza, la sua vita dovrebbe essere al suo servizio, ossia al servizio dei suoi simili.
Per quanto il mio impegno sociale e politico sia stato espletato in gioventù fino al 1996, ho trascorso gli ultimi vent’anni in parte a scrivere libri e su riviste, in parte a percorrere un bel viaggio iniziatico, ricco e faticoso: in breve, a imparare. Sia il primo che il secondo viaggio sono stati fertili in avventure e in esperienze. Decidendo di intraprenderne un terzo, quello con Casa Don Gallo e Rimini People – anch’esso verso Itaca come avrebbe detto Konstantinos Kavafis – ho riempito la valigia di modestia e umiltà. E mi sono incamminato in questo pellegrinaggio composito, formato da biografie ed esperienze diverse, in punta di piedi, con discrezione e prudenza, dando una mano se richiesta ed esprimendo il mio pensiero solo se ritenevo di aver da dire qualcosa di assennato. Ben consapevole che questa mia collocazione poteva dall’esterno essere oggetto di strumentalizzazioni e illazioni.
E, difatti, la mia presenza, quella di un massone dichiarato, è servita a dare un po’ più di pimento esotico alla rappresentazione di Rimini People come un carrozzone indefinibile formato da comunisti italiani, ex pentastellati, civatiani, vendoliani e antagonisti guidato da “una dama di carità stile caritas” o un’ilare combriccola, meritevole di un qualche trattamento psichiatrico, che trova consenso giusto in squalificati ambienti salottieri, radical-chic e massonici.
Sono più o meno queste le opinioni espresse sui social-media, a quanto mi si riferisce, da due soggetti che qui chiamerò Luca e Annamaria, data la confidenza che mostrano verso la mia biografia e, ohibò, verso l’istituzione cui appartengo. Confidenza, da parte mia, qui del tutto limitatissima alla bisogna e alla necessaria reciprocità e che non intendo assolutamente estendere oltre. Questo non per supponenza, ma perché avendo superato la boa dei sessanta non mi piace più perdere tempo con la conoscenza di chi mi può spingere solo in basso né dire gentilezze a chi non sa dire parole gentili e leali. Immagino, poi, che Luca e Annamaria siano solo la punta visibile dell’iceberg, quelli che ci mettono la faccia su “faccialibro”, ma che anche altri, avendo quella adatta all’occasione, abbiano espresso, più riservatamente e con maggior pudore, simili opinioni.
Vorrei loro solo dire che se avessero la macchina del tempo cinematografica di Emmett Brown, avrebbero potuto fare le stesse improvvide e incaute dichiarazioni circa Allende e Unidad Popular che, in un’unica coalizione, orribile a dirsi, riuniva la sinistra cristiana, radicali, azionisti, socialisti, comunisti e sindacalisti. La stessa cosa avrebbero potuto dire del Fratello Ernesto Nathan, il miglior Sindaco di Roma (almeno finora), il quale nei primi anni del ’900, propose l’Unione liberale popolare (il famoso Blocco), un’alleanza elettorale fra repubblicani, radicali e socialisti e progressisti vari, replicata in molti comuni italiani (tra i quali Rimini, basti pensare al Fratello Arturo Clari, l’ultimo sindaco di Rimini democraticamente eletto prima della dittatura fascista e il primo dopo la Liberazione). O anche dei vari Fronti Popolari che sorsero nella seconda metà degli anni ’30 in Spagna con il Fratello Azaña, in Francia e in numerosi paesi dell’America latina con una massiccia presenza di massoni.
Ora, i nostri Luca e Annamaria e i loro ignoti sodali non essendo, a quanto mi consta, dei rivoluzionari o, chissà, degli anarchici, bensì, almeno i primi, persone ben integrate nelle attività tipiche del loisir rivierasco, non hanno certamente nessun obbligo di sapere che Che Guevara era un massone, come qualche anno fa ha ricordato il mio amico Morris Ghezzi, docente di Sociologia del Diritto all’Università di Milano e Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’Italia, né di essere informati della totale adesione alla massoneria di illustri pensatori e agitatori anarchici come Mikahil Bakunin, Pierre-Joseph Proudhon, Elisée Reclus, Louise Michel, Andrea Costa e Francisco Ferrer. E di nomi di militanti massoni della sinistra, classica o anche estrema, ormai dimenticati, volendo, se ne potrebbero far riemergere a bizzeffe.
Il mio carissimo amico Gustavo Raffi, nell’aprile del 2008, quando era ancora Gran Maestro del G.O.I., suscitò un certo subbuglio per la sua affermazione: Il cuore della massoneria batte a sinistra. Nelle logge della massoneria regolare non si discute di politica (e nemmeno di religione). È quindi impossibile che la massoneria dia parole d’ordine in politica ai suoi affiliati, ma lascia a loro ampia libertà d’azione nel mondo profano, secondo la loro coscienza, sul terreno religioso, filosofico e finanche politico. Nondimeno la massoneria insegna principi e valori attraverso i suoi immutabili rituali e simboli. Se, pertanto, la massoneria non agisce collettivamente, ma lo fa individualmente attraverso uomini che ne fanno parte, al di fuori dei templi, in campo sociale, è immaginabile, logicamente, che la loro azione non possa essere in funzione dei principi massonici un’attitudine oggettiva, bensì esclusivamente soggettiva nell’affrontare i problemi dell’uomo e della società. Vale a dire che in massoneria non si trova se non quello che si è capaci di scoprire da sé ed è solo questa propria personale maturazione che può essere proiettata all’esterno. Raffi dovette correggere il tiro di quell’affermazione che fu facilmente estremizzata dai soliti gazzettieri, spiegando non solo che si trattava di un dato reale anatomicamente vero nel 99% dei casi, ma anche politicamente vero nella maggior parte dei casi storici. Questo non significa che non ci siano stati massoni che, nella loro interpretazione soggettiva dei principi libero-muratorî, non abbiano aderito alla reazione (si pensi a un de Maistre) o alla destra. È tuttavia innegabile che la massoneria moderna fin dalla sua nascita ai tempi del libertinismo e dell’illuminismo in questi ultimi tre secoli sia vissuta e fiorita, senza subire usure dal tempo, per essersi di volta in volta tuffata nell’acqua lustrale del progresso e del bene dell’umanità, assimilando e influenzando sottilmente ogni nuova fase di civiltà. In nome di quel principio di fratellanza e di quella luce che si vorrebbe fossero estese a tutta l’umanità, i massoni hanno iniziato e spinto innanzi ogni movimento che potesse spezzare le catene dell’odio e dell’oscurantismo.
Come ha recentemente riportato una rivista americana la bibliografia internazionale sulla massoneria supera i centomila titoli. Non occorre compulsarli tutti. Basterebbe sfogliare La Massoneria, il prestigioso 21° volume degli Annali della Storia d’Italia dell’Einaudi, a cura dell’amico Gian Mario Cazzaniga, filosofo politico e dirigente del movimento operaio e del PCI e PDS, docente di Filosofia Morale all’Università di Pisa, per scoprire che la sinistra è figlia o, quantomeno, nipote della massoneria. Ma che dico? Per smontare la pseudo-narrazione propinata, che ironizza sulla presenza di un massone in politica come fosse una novità da rivendere a qualche allocco, ci si può accontentare di un riminese come Guido Nozzoli, cui è intitolata, come è noto, una loggia. Avevo conosciuto Guido nei primissimi anni ’80, quando lavoravo per il periodico giovanile Centolire, per alcuni dei cui redattori il celebre inviato speciale allestiva improvvisamente alcune misteriose conferenze. Capita spesso a chi entra in massoneria di scegliersi un méntore. Come molti fratelli prima di me, scelsi come saggia guida proprio Guido, partigiano, giornalista e scrittore, protagonista delle lotte civile e politiche. E cercai di passare molto tempo con lui. In quei tre scarsi anni che trascorsi con lui fino alla sua morte l’11 novembre 2000, capitava spesso che, frammezzate a questioni massoniche, esoteriche ed alchemiche (queste ultime erano il suo interesse principale) inserisse altri discorsi. Raccontava allora, tenendo svegli me e mia moglie, il suo arresto a 25 anni agli inizi del ’43, durante il servizio militare, per aver distribuito volantini intitolati Non credere, non obbedire, non combattere. In quelle indimenticabili notti insonni ci parlava di come aveva salvato San Marino dai bombardamenti degli alleati o la sua voce si spezzava quando ricordava i Tre Martiri. Fu sempre iscritto al PCI e negli ultimi anni aderì a Rifondazione e capitava qualche volta che le sue lucide memorie e fascinose affabulazioni fossero interrotte da qualche telefonata di Sandro Curzi per un consiglio su un titolo di Liberazione o per una sua implacabile argomentazione su un fatto del giorno. Volle sul suo sepolcro il motto dialettale ne mors ne brej (né morso né briglia) per rappresentare l’assoluta libertà, innanzitutto di ricerca, nel cammino dell’Uomo.
C’è dunque da chiedersi come siano possibili nozioni così imprecise circa i massoni da parte di Luca e Annamaria, candidati l’uno in Rimini in Comune (il nome-foglia di fico per nascondere le vergogne riminesi di Rifondazione Comunista) e l’altra nel PD. Due partiti che, indipendentemente dalle mutazioni socio-antropologiche subìte, si dicono di sinistra o si “autoreferenziano” come tali (come ci è stato illustrato ricorrendo all’iper-specialistico linguaggio sistemico). E questo dice molto sullo spessore intellettuale di chi si candida ad amministrare la nostra città.
Ma questa potatura dei rami più antichi dell’albero genealogico della sinistra, questa rimozione, e i conseguenti meccanismi di discriminazione e di rigetto, vista la quantità immensa di informazioni che anche l’utente più smandrappato può ricevere da internet o consultare su Wikipedia, non è solo la rinuncia a questa possibilità da parte di coloro che sono troppo occupati a chattare tra di loro sciocchezze che, come ci ha ricordato Umberto Eco, un tempo erano limitate al bar del paese. Non è un problema di erudizione, di cultura, ma è una questione pedagogica, oserei quasi dire di civiltà se non addirittura di psicagogia, ossia la possibilità di accedere a dimensioni più elevate della psiche.
Riguarda un tema difficile che è, più in generale, il rapporto con l’Altro, l’Estraneo, lo Straniero, il Diverso. Che andrebbe sempre accolto, ospitato, ascoltato, compreso. È un tema che oggi si rivela di viva quanto drammatica attualità. Ma i suoi scenari si aprono già in età molto antiche e sono oggetto di racconti mitici a fini educativi. Uno di questi racconti è il naufragio di Ulisse nell’isola dei Feaci, l’altro il mito di Filemone e Bauci: entrambi si rivelano di estremo interesse non solo perché parlano di ospitalità a stranieri (nel primo l’ospite si rivela un eroe, nel secondo i pellegrini poi mostrano il loro volto divino), ma perché a questo tema sono legati quello del riscatto e della rigenerazione, oltre a quello del cambiamento e della trasformazione, in vista di un rafforzamento e non di una perdita dell’identità. Fatta la tara dei proclami, stento a trovare grandi differenze tra le politiche identitarie e quelle “autoreferenziali” di certa sedicente sinistra che rifiuta le nuove forme di fare politica che mettono insieme persone diverse con obiettivi concreti comuni. Occorre un’educazione ad hoc, un cambiamento di mentalità che insegni a considerare nostro pari e nostro fratello ogni essere umano: stranieri, disabili, sfruttati, emarginati per qualsiasi motivo. È nell’importanza di nuovi modi di aggregazione trasversale e di mutualismo (“un mondo che contenga molti mondi” come lo ha efficacemente descritto Manila Ricci), di partecipazione dal basso, senza cappelli ed egemonie, in cui dobbiamo continuare a confidare. Soltanto un movimento che abbia il coraggio di tener duro e continui a proporre percorsi collettivi e attività non facili, sempre contrastate da chi detiene il potere e determina ingiustizie sociali e disuguaglianze, fa il bene della prossimità e dell’umanità intera e consentirà quella felicità che oggi non vediamo più realizzarsi, ma che fino a ieri, almeno fino alla mia generazione, si credeva possibile. E riusciva drasticamente a cambiare il destino di una persona. Quanto alla trasformazione del mondo, quel che conta è intraprendere il cammino. E additarlo a chi è in grado di capirlo.

P.S.

El pueblo unido jamas sera vencido, / De pie, marchar que vamos a triunfar. / Avanzan ya banderas de unidad, / y tu vendras marchando junto a mi / y asi veras tu canto y tu bandera / al florecer la luz de un rojo amanecer / anuncia ya la vida que vendra. // De pie, luchar, / que el pueblo va a triunfar. / Sera mejor la vida que vendra / a conquistar nuestra felicidad / y en un clamor mil voces de combate / se alzaran, diran, / cancion de libertad …

Il popolo unito non sarà mai vinto, / In piedi, marciamo, che trionferemo. / Avanzano ormai le bandiere dell’unità, / e tu verrai a marciare al mio fianco / e così vedrai il tuo canto e la tua bandiera / al fiorire la luce di una rossa alba / annuncia ormai la vita che verrà. // In piedi, combattiamo, / che il popolo trionferà. / Sarà migliore la vita che verrà / per conquistare la nostra felicità / e in un clamore mille voci di lotta / si alzeranno, diranno / canzoni di libertà …

Sono le parole, insieme alla mia personale traduzione, di una celebre canzone degli anni ’70, scritta dal poeta, cantautore e regista cileno Victor Jara e musicata dal gruppo degli Inti-Illimani, che fu la colonna sonora con cui, nel 1970, Salvador Allende divenne Presidente del Cile inaugurando una stagione politica, durata un triennio e tragicamente finita, che la storia conoscerà con il nome di Unidad Popular.

Moreno Neri