Visualizzazione post con etichetta Adrian Stokes. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Adrian Stokes. Mostra tutti i post

lunedì 7 novembre 2016

Così la poco attraente Rimini finì nel Grand Tour di Paolo Zaghini

 Tratto da Chiamamicitta.it :



Attilio Brilli (a cura) All’epoca del Grand Tour. Viaggiatori stranieri lungo le vie consolari.
Banca CARIM.

Mah … alla fine dopo aver sfogliato questo volume uno si domanda perché esso sia stato edito. Belle le foto a tutta pagina che prevalgono sicuramente sul testo, molto conciso ed essenziale. Ma privo di un “cuore” centrale del racconto.
Attilio Brilli è uno dei massimi storici della letteratura di viaggio, oltre che autore di numerosi testi storici e interpretativi sull’argomento. Docente universitario, è stato per molti anni professore ordinario di Letteratura angloamericana presso l’Università di Siena. Digitando il suo nome sul catalogo on-line delle biblioteche OPAC Romagna (e dunque non quello nazionale) emergono, dai primi anni ’70 ad oggi, 220 pubblicazioni a suo nome fra testi propri, curatele, traduzioni: una produttività editoriale altissima. Con saggi importanti, tra i quali vanno citati almeno lo studio sulla pratica del Grand Tour Quando viaggiare era un’arte (Il Mulino, 1995), l’opera enciclopedica sulla pratica del viaggio in Italia dal Medioevo a oggi Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale (Il Mulino, 2006), le indagini sul viaggio come scoperta di un mondo altro de Il viaggio in Oriente (Il Mulino, 2009) e quelle sul viaggio come esplorazione e conquista illustrati in Dove finiscono le mappe (Il Mulino, 2012) e in Mercanti avventurieri. Storie di viaggi e di commerci (Il Mulino, 2013), in cui sono descritte le epiche imprese dei mercanti del Medioevo che aprirono nuove vie ai commerci fra Oriente e Occidente. Tra i suoi lavori più recenti Il grande racconto del viaggio in Italia. Itinerari di ieri per viaggiatori di oggi (Il Mulino, 2014).
E’ da quest’ultima opera che nasce il volume della Carim, ma anche quello della Banca Valconca Viaggiatori stranieri fra Romagna e Marche: XIX – XX Secolo (2014). Entrambi i volumi sono una riduzione a strenna bancaria di un’opera importante. Una operazione commerciale/editoriale che mi porta a chiedere: perché?
Lo dico in quanto so benissimo le difficoltà che esistono per far finanziare progetti editoriali del territorio, anche importanti. Mi si potrà rispondere: ma cosa vuoi? I soldi sono nostri e decidiamo di spenderli come ci pare. Giusto, ma fino ad un certo punto. Chiedo dunque al sistema bancario riminese più attenzione al lavoro di ricerca e di produzione dei centri culturali del territorio, cosa che in parte diversi istituti (ma non tutti) stanno già facendo. E in questi anni di crisi anche il più piccolo finanziamento è prezioso per consentire il prosieguo di attività che danno alla Città risultati importanti.
Mi scuso con Brilli per averlo chiamato in causa. Non è la sua competenza in discussione. Mi sia dunque consentito dire che il capitolo del libro edito dalla Carim e dedicato a Rimini ha annotazioni interessanti. L’essere Rimini crocevia: “nella lunga stagione del Grand Tour e quindi del viaggio in Italia, tra la fine del XVI e gli inizi del XX secolo, non c’è viaggiatore che non faccia tappa a Rimini, sia che provenga da Roma o da Bologna, oppure da Perugia o da Ancona”.
Brilli cita poi le relazioni di viaggio degli inglesi Joseph Forsyth di inizio ‘800, di John Addington Symonds negli anni Settanta dell’800, di Edward Hutton a cavallo fra ‘800 e ‘900, dell’americano Dan Fellows Platt che nel 1904 percorre l’Italia “with car”. Ed infine l’inglese Adrian Stokes negli anni ’30, autore dello straordinario volume Stones of Rimini dedicato al Tempio Malatestiano (tradotto nel 2002 da Moreno Neri per l’editore Raffaelli).
Il giudizio di tutti questi forestieri su Rimini è comune: “Rimini non è una città attraente, … una città in nessun modo pittoresca, una città campagnola che s’estende quasi alla maniera dei suburbi industriali del nord” (Stokes). Ma nel caso di Stokes poi c’è l’incontro con il Tempio Malatestiano e la scoperta della figura di Sigismondo Pandolfo Malatesta: un amore a prima vista.Nella Presentazione del volume è scritto: “Un tempo la circolazione di persone da un luogo all’altro dell’Europa era legato ad eventi contingenti: commerciali, diplomatici, bellici, religiosi; o culturali in senso stretto: si pensi ad esempio a quella esigua minoranza di studenti che nel Medioevo frequentò le università di Bologna, Siena, Padova. Dalla seconda metà del ‘500 e viepiù nel corso del ‘600, la connotazione del viaggio finì per coincidere con quella del Grand Tour che nel ‘700, Epoca dei Lumi, divenne fenomeno diffuso e à la page: alcune privilegiate elite di touristes, inglesi soprattutto, fecero dell’Italia, il mitico approdo di virgiliana memoria, la meta privilegiata delle loro peregrinazioni laiche, alla ricerca di testimonianze dell’antichità greca e romana”. Ed è così che anche Rimini finì nel circuito del Grand Tour.
Paolo Zaghini




domenica 13 settembre 2015

AL TEMPIO D’AMORE: PER UNA INTERPRETAZIONE ESOTERICO-EROTICA DEL TEMPIO MALATESTIANO


-->
Il Capitolo Osiride n. 12 di Ferrara dell’Ordine della Stella d’Oriente – in collaborazione con i Capitoli Le Pleiadi n. 17 di Venezia, Iside n. 10 Perugia, Ariel UD di Fano e Beatrice n. 9 di Firenze – organizza per domenica 20 settembre una visita al Tempio Malatestiano di Rimini.
Il programma della giornata prevede, dopo il ritrovo all’Hotel Principe di Bellaria (Via Giovanni Pascoli 1) alle ore 10,00 e lo svolgimento dei Lavori rituali, una conferenza con proiezione di immagini del Fratello Moreno Neri, saggista e scrittore, introduttiva alla visita del Tempio Malatestiano, che avrà luogo nel pomeriggio, un Tempio, emblema del Rinascimento, che volta a volta è stato definito Tempio esotico, esoterico, eroico, erotico, eretico. La conferenza avrà inizio alle ore 11,30 e tratterà specialmente gli aspetti esoterici ed “erotici” del Tempio (non a caso così denominato) che, sebbene incompleto, è l’opera chiave del Rinascimento riminese e colmo di “simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia”.
Alle ore 12,45 si terrà un’Agape bianca con ricco menù di pesce all’interno dello stesso albergo e alle ore 15,00 avrà luogo la partenza per la visita al Tempio Malatestiano con la guida di Moreno Neri, considerato uno dei massimi esperti esoterici del Tempio Malatestiano e autore, traduttore e curatore di numerosi testi sul monumento riminese.
L’incontro, ad esclusione della prima parte rituale, è aperto al pubblico e l’invito alla partecipazione è perciò esteso anche a profani, amici, parenti e simpatizzanti.
Il prezzo dell’agape a base di pesce è di euro 38,00 (per prenotazioni: Hotel Principe
Via Pascoli 1, Bellaria (Rimini)
tel. 0541 349234,
Fax 0541 345692

-Responsabile Sig.na Roberta).
Attivo in Italia da oltre mezzo secolo, l’Ordine internazionale della Stella d’Oriente (Order of the Eastern Star) fu fondato nel 1850 da Robert (Rob) Morris, Gran Maestro della Gran Loggia del Kentucky, e da sua moglie Charlotte Mendenhall per consentire alle donne di aderire a una scuola di metodo incentrata sui principi universali della Massoneria.
All’incontro riminese del 20 settembre sarà presente il Worthy Grand Patron del Gran Capitolo d’Italia Fratello Robert (Bob) de Bruyn e pioniere delle Stelle d’Oriente italiane. Per l’occasione Bob de Bruyn ha dichiarato: “L’iniziativa di lavorare assieme, a capitoli riuniti, è un buon evento, da diffondere nei Capitoli italiani. L’avvenimento, inteso anche a ribadire l’interesse del nostro Ordine verso gli aspetti esoterici e le vie iniziatiche con i loro fini di perfezione, verso lo spirito di fraterno e universale amore e il desiderio di lavorare insieme per il bene, mostra, con la sua apertura a un più ampio pubblico, l’impegno a lavorare concretamente per la diffusione dell’Ordine della Stella d’Oriente in Italia”.



-->
Illustrazione di Federico Nonni da Antonio Beltramelli, Un tempio d’amore,
Remo Sandron Editore, Milano - Palermo - Napoli, 1912, fronte p. 52;
rist. facs. con appendice di Moreno Neri: Antonio Beltramelli e il Tempio Malatestiano tra eros e airesis, Raffaelli Editore, Rimini, primavera 2004.


venerdì 29 maggio 2015

"L'infinito è dalla parte di Malatesta" e Montherlant menzionati da Davide Brullo

Sempre navigando su TOR e "googlandomi" trovo questo articolo di Davide Brullo che qui sotto riporto. Il link per vederlo in originale è il seguente:
http://www.dcult.it/istrione-henry-de-montherlant-toreador-calciatore-accademico-di-francia-si-suicido-per-egoistica-vanita/


Scrive Réné Guénon ne La crisi del mondo moderno: "Chi è qualificato per parlare in nome di una dottrina tradizionale non deve discutere con i «profani» e non deve indulgere in una qualsiasi «polemica». Egli deve solo esporre la dottrina così come è a coloro che possono comprenderla, denunciando in pari tempo l’errore dovunque esso si trovi, facendolo risultare tale col proiettare su di esso la luce della conoscenza vera. La sua funzione non è di suscitare una lotta e di compromettere con essa la dottrina, ma di formulare quel giudizio di cui egli ha la facoltà se davvero possiede i principi che debbono ispirarlo infallibilmente. Il dominio della lotta è quello dell’azione, è cioè il dominio individuale e temporale; il «motore immobile» desta e dirige il movimento senza esser da questo trasportato. La conoscenza illumina l’azione senza partecipare alle vicissitudini di essa. Così ogni cosa resta sul suo piano, nel grado che le corrisponde nella gerarchia universale.
Ma nel mondo della decadenza moderna dove si potrebbe ancora trovare il concetto di una vera gerarchia? Non vi è cosa o persona che sia nel posto in cui dovrebbe trovarsi normalmente. Gli uomini non riconoscono più alcuna autorità effettiva nell’ordine spirituale, alcun potere legittimo in senso superiore e sacro nell’ordine temporale. I «profani» si permettono di discutere su cose sacre, di esse disconoscendo il carattere se non pure l’esistenza. È l’inferiore che giudica il superiore, è l’ignoranza che impone limiti alla sapienza, è l’errore che scalza la verità, è l’umano che si sostituisce al divino, è la terra che va a predominare sul cielo, l’individuo facendosi la misura di tutte le cose e pretendendo di dettare all’universo leggi tratte tutte dalla sua ragione relativa e defettibile. «Guai a voi, guide cieche!» è detto nel Vangelo. Oggi si vedono infatti dappertutto ciechi che conducono altri ciechi e che fatalmente li porteranno all’abisso, in una comune fine, se non verranno fermati in tempo."
Non vi è dubbio alcuno che in questa epoca di decadenza anche sul Tempio Malatestiano, uno dei maggiori monumenti esoterici della nostra Italia, le "guide cieche" pullulino e gli ignoranti la facciano da padroni.
 

Che differenza c'è tra Sigismondo Pandolfo Malatesta e i piccoli governanti odierni? Questa! che ci indica proprio Montherlant quando diceva che:

Si amava l’oro perché dava il potere e col potere si facevano delle grandi cose. Adesso si ama il potere perché dà l’oro e con quest’oro se ne fanno di piccole.



Istrione Henry de Montherlant, toreador, calciatore, accademico di Francia, si suicidò per egoistica vanità. Grande grandissimo scrittore

di Davide Brullo Il 9 luglio 2013 In Il Salieri


Un acerrimo amico mi manda il lapidario messaggio: «quando arriverà a questo livello mi faccia sapere». In allegato, la prima pagina de il Giornale del 23 maggio, con l’ordine di leggere il “Cucù” di Marcello Veneziani. Titolo tremendo (“Suicida contro il suicidio della civiltà”) sotto il quale il giornalista cuce un pensiero intorno alla morte di Dominique Venner, 78 anni, scrittore e storico, che il 21 maggio è entrato nella cattedrale di Notre Dame, Parigi, e si è sparato, non gli andava la brutta china che ha preso l’Occidente, in particolare il fatto che la sua patria abbia concesso per legge il matrimonio a persone che condividono il sesso.
Veneziani scrive che «è comunque un gesto di grandezza, sulla scia francese di Henry de Montherlant». Fermiamo il fotogramma qui. Montherlant, tra i geni della scrittura di Francia, con l’infinita fame di scavare l’uomo fino al più piccolo istante perversione, non si uccise per passione politica o per una poetica dell’indignazione. Attese il 21 settembre del 1972, giorno dell’equinozio di autunno, e se ne andò per egoistica vanità: non accettava la vecchiaia. Scegliere come morire: esiste atto più sciocco e più divino? Diede disposizioni affinché gli amici spargessero le ceneri a Roma, un po’ nel Tevere un po’ a inargentare i Fori imperiali.
«Se cercassi Dio, troverei me». Questa è una frase di Pierre Costals, eroe assoluto di Montherlant, pronunciata dall’alto de “Le ragazze da marito”, il primo romanzo di una serie di quattro, accerchiati dal medesimo titolo “Jeunes filles”, pubblicati tra il 1936 e il 1939. Adelphi, nel 2000, cominciò, per merito di Cesare Colletta, a tradurre il ciclo: il romanzo è francamente strepitoso. Qualche gonzo universitario potrebbe venirvi a dire che il misogino, libertino e glaciale Pierre Costals sia una sorta di Andrea Sperelli, ma il giudizio è uno sparo a salve: Montherlant deprime la lussuria retorica di D’Annunzio, la sua scrittura è un pugnale di vetro, la mente del marchese de Sade nel corpo di Pascal. Insomma, un capolavoro. Ragion per cui, Adelphi lasciò perdere, terminò la statua editoriale alle ginocchia: gli altri tre romanzi non sono stati tradotti né sono in previsione di essere pubblicati.
Eppure, Henry de Montherlant è un istrione, uno dei rari scrittori seducenti, che «sfugge a ogni classificazione», guidato da «un’estetica del contrasto e della diversità», dotato della «stessa impietosa lucidità dei maggiori moralisti. I suoi maestri? Epitteto e Marco Aurelio, ma anche Petronio e Anacreonte, Plutarco e Seneca» (Y.-A. Favre). Audace (a quindici anni comincia a toreare, a trenta un toro gli perfora il polmone destro), atletico (tra l’altro, è un calciatore capace), nel 1960 fu eletto tra i santissimi dell’Académie française (i 40 titani della cultura di laggiù: sui suoi scranni si sono assisi Montesquieu e Marguerite Yourcenar, Henri Bergson, Victor Hugo, Voltaire, Paul Valéry), sulla seggiola numero 29 (che è stata di Ernest Renan e di Claude Lévi-Strauss, attualmente la occupa Amin Maalouf), ma in sostanza nel pantheon dei grandi, per snobismo, non si fece mai vedere. Individualista rovente, negli anni dell’occupazione francese sponsorizzò il generale Pétain, i suoi scritti ottennero ciò che si prefiggeva: fu osteggiato dai resistenti e fu incompreso dai nazisti. «Ce l’ho con Montherlant per essere stato così inferiore alla propria grandezza»: così la Yourcenar riassume il demonico genio di Montherlant.
Sostanzialmente ignorato dall’editoria attuale (che ci logora con romanzi ovvi e soporiferi e ha terrore di simili bestie strane, sacre), non era così qualche decennio fa. Nel 1952 l’editore Bompiani commissiona a due numeri uno (Massimo Bontempelli e Camillo Sbarbaro) la traduzione dei testi teatrali più celebri di Montherlant, “Il gran maestro di Santiago”, “La regina morta” e “Malatesta”. E già, cari miei, Montherlant vede nel viso di Sigismondo quei caratteri («la sua irrequietezza, la sua volubilità, le sue contraddizioni») che animano i suoi eroi. Il “Dramma in quattro atti” viene principiato nel 1943, settant’anni fa, e licenziato nel 1947, Raffaelli ne ha stampato una edizione deliziosa nel 1995. La fratellanza di Malatesta con Montherlant si esplicita in un testo programmatico, “L’infinito è dalla parte di Malatesta”, pubblicato nel 1951 ed edito da Raffaelli (con appendici curate da Moreno Neri) nel 2004. In esso Montherlant rintraccia una soddisfacente parentela con il Malatesta, per tramite della nutrice, «è innegabile che la donna che mi diede il seno aveva legittimamente il medesimo blasone che aveva Sigismondo Pandolfo Malatesta», quasi che il condottiere fosse «la mia forza e il mio veleno». Nei suoi pensieri “malatestiani” Montherlant ci svela che nel tempio di Rimini «uno dei canonici» era all’epoca «un fedele di Sigismondo», commisura il cranio del Malatesta con quello di Mussolini, obbliga la dama di viaggio a recarsi da Roma alla Gambalunghiana per procacciarsi documenti storici. Il testo scenico è di traslucida grandezza («il mare che batte le spiagge di Rimini e vi si frange ripete il nome di Malatesta»), Sigismondo è un po’ Federico II, un po’ Amleto, un po’ Orson Welles. Fu messo in scena la prima volta a Parigi, nel 1950 (il Malatesta è Jean-Louis Barrault, attore di pregio, ha lavorato con Max Ophuls, Jean Renoir e Ettore Scola), ebbe una sessantina di rappresentazioni, il 28 luglio 1969 sbarcò a Rimini, in Castel Sismondo. Allora il tiranno riminese prese il volto di Arnoldo Foà, Luigi Pasquini sul Resto del Carlino, il giorno stesso, avvicinò la figura del Malatesta a quella di Federico Fellini. A lato, un articolo scritto da Montherlant, un’ode alla riminesità del Malatesta, «uno che seppe riunire in sé ferocia e tenerezza, capriccio e costanza, religione e irreligione». Ma la sola religione rimasta all’Italia, in questi vaghi tempi, è sfregiare i grandi, infangare la sapienza che fu, fregandosene. 


La copertina del libro
Due foto di Montherlant
In una foto di Davide Minghini, scattata il 28 luglio 1969 a Castel Sismondo, 
il Fratello Arnoldo Foà (1916-2014)
interpreta il Malatesta di Montherlant.
Arnoldo Foà era un Fratello del Grande Oriente d'Italia, iniziato 
nel 1947 nella Loggia “Alto Adige” all'Oriente di Roma.

lunedì 25 maggio 2015

Dialoghi col massone. Una intervista in tre parti su Rimini2.0

News Rimini e San Marino Notizie Rimini | Rimini 2.0

Dialoghi col massone/1: Rimini vista dalla loggia è ferma a “Gradisca”

Dagli anni dell’ONU (One Nation Underground) Rimini non ha inventato più nulla in termini di eventi. Notte Rosa e Molo Street Parade sono tappeti giovanili sotto ai quali si nasconde la polvere di una città che ha fatto tabula rasa del mondo della notte. Massimo Pulini? Bravo, però… L’assessore alla cultura che servirebbe alla città? Marino Bonizzato. Non solo perché bloccherebbe il teatro da default. Ma perché è uno dei pochi ad avere compreso il genius loci della città. L’età imperiale romana e il Rinascimento ci hanno regalato monumenti che sono arrivati fino ai giorni nostri. Cosa stiamo lasciando noi alle generazioni che verranno? Intervista a Moreno Neri. Dall’Arci al Grande Oriente d’Italia.

http://www.riminiduepuntozero.it/dialoghi-col-massone1-rimini-vista-dalla-loggia-e-ferma-a-gradisca/


Dialoghi col massone/2: anche cattolici praticanti fra i grembiuli

Dopo la conversazione con Moreno Neri su Rimini e dintorni, entriamo nel tempio. Per ottenere da lui qualche informazione in più su chi e quanti sono i massoni a Rimini, quanto spendono per aderire alla loggia, perché dalla “Venerucci” nacque la “Guido Nozzoli”, l’officina intitolata al giornalista riminese con la passione per l’alchimia. Si scopre che nella massoneria locale non mancano cattolici che normalmente vanno a messa. Le logge del Goi in regione sono 41 e in Romagna la provincia di Rimini (con 4) viene subito dopo Ravenna (5).

Dialoghi col massone/3: i demoni nel Tempio Malatestiano, il pregiudizio in città

Perché i massoni amano tanto il Tempio Malatestiano? Lo spiega in questa intervista Moreno Neri. Che condivide e rilancia anche la proposta di Gioenzo Renzi finalizzata a valorizzare Ezra Pound e il suo legame con Rimini.

http://www.riminiduepuntozero.it/dialoghi-col-massone3-i-demoni-nel-tempio-malatestiano-il-pregiudizio-in-citta/

sabato 23 aprile 2011

Adrian Stokes: con Ann Stokes e con Richard Read

I dipinti di Adrian Stokes, le edizioni originali dei suoi libri, le ceramiche e le terracotte di Ann Stokes, i libri d'arte di Telfer Stokes e Helen Douglas, i rilievi di Margaret Mellis, trasportati in auto da Philip Stokes da Londra a Montefiore Conca ed esposti nella mostra "L'affermazione dell'occhio", valevano la bellezza di circa 230mila Euro.
Dopo un rapido calcolo ci accorgemmo che farli trasportare da un corriere ci sarebbe costato molto, ma molto di più di un nostro viaggio a Londra. Viaggio che ci avrebbe inoltre permesso di rivedere Philip Stokes, di fare la conoscenza di Ann Stokes e del suo secondo marito Ian Angus (uno dei massimi esperti e curatori britannici dell'opera di George Orwell), di vedere infine la casa dove fin da fanciullo aveva abitato Adrian Stokes e dove aveva chiuso gli occhi nel 1972.
Tutto caricato in scatole di cartone, il 2 settembre 2002 Walter Raffaelli, sua figlia Lucia, io e mia moglie Adele Corazza partimmo con il caravan di Raffaelli da Montefiore Conca, via Morciano di Romagna, alla volta di Londra.  La notte tra il 2 e il 3 settembre facciamo tappa a Colmar (e non si manca la visione della pala di Mathias Grünewald). Il pomeriggio del 3 siamo sul traghetto per le bianche scogliere di Dover. La sera facciamo tappa a Rochester, dove la cucina (filetto di vitello bollito e costolette d'agnello al sangue) era sicuramente più infame delle camere. Finalmente nel primo pomeriggio di mercoledì 4 settembre, dopo esserci a lungo persi per Londra, siamo a casa di Ann Stokes al 20 Church Row, una delle più belle streets georgiane di Hampstead. E' un'elegante casa a schiera di tre e piani e seminterrato con la facciata di mattoni rossi. Eccola come appare in Google maps





Naturalmente c'è anche un nostro minuscolo reportage fotografico.


Moreno Neri nel lussureggiante giardino retrostante la casa in stile georgiano di Ann Stokes


Il giardino e il retro della casa al 20 Church Row


Adele Corazza, Walter Raffaelli, Lucia Raffaelli e Adele Corazza nel giardino privato di Ann Stokes


Ann Stokes er Adele Corazza con il tradizionale tè delle cinque


Ann Stokes e Moreno Neri


Ann Stokes e Moreno Neri in un viottolo di Hampstead


Adele Corazza, Lucia Raffaelli e Moreno Neri in Church Row 


Ceniamo con Ann Stokes, Ian Angus e Philip Stokes. I piatti, di ceramica, sono di Ann Stokes. Si va a dormire. Adele ed io siamo in una stanzetta nell'ultimo piano mansardato che era la cameretta di Adrian Stokes da bambino, circondati da libri in inglese per bambini, in vecchie edizioni dei primi del Novecento. Walter Raffaelli passa una nottata costellata da incubi. E' rimasto impressionato da una rivelazione di Ann. Durante la cena le ho chiesto dove fosse sepolto Adrian Stokes e lei, serafica, ha risposto che le ceneri di Adrian erano in casa, anche se non ci ha detto dove (forse in uno dei suoi vasi?).
La mattina dopo lauta colazione, naturalmente con le tazze di ceramica di Ann. Siamo pronti per ripartire.
Il 5 settembre siamo di nuovo a Colmar dove l'indomani ripartiamo per Rimini. Vi arriviamo a notte fonda.


Qualche giorno dopo giunge dall'Australia un plico. E' una lettera di Richard Read. Richard Read è Senior Lecturer alla School of Architecture and Fine Arts della University of Western Australia e ha pubblicato diversi articoli e saggi in importanti riviste sul rapporto tra letteratura e arti visive, sull'arte australiana e su film contemporanei. Ma soprattutto, come ho già scritto in precedenti post, è il biografo ufficiale di Adrian Stokes e ha pubblicato nel dicembre del 2002 Art and its Discontents: The Early Life of Adrian Stokes (a questo link la scheda informativa dell'editore).

Ecco qui sotto la riproduzione della sua lettera, la trascrizione del testo e, come d'abitudine in questi post,  una sua rapida traduzione.  




Dear Moreno Neri,
I enclose a number of publications relevant to Adrian Stokes’s relationship with Ezra Pound and from the `Four Essays on the Tempio Malatestiano’ which preceded The Quattro Cento and Stones of Rimini but provide the basis of what would have been the final volume of the trilogy had Stokes and Pound not quarrelled. I have to say that very significant parts of `Agostino’ were cannibalized for Stones of Rimini - as I’m sure you will recognize, though `Pisanello’ is far less cannibalized and may represent the best thing to translate from the Riminese point of view because its tone and style is quite unique. Less than half of the essay was published in the American humanist journal The Hound and Horn and again as the opening essay of the first volume of Lawrence Gowings 1978 The Critical Writings of Adrian Stokes, but I found the second half in the Tate Archive and published the essay in its entirety for the first time in one of the publications included with this letter. I should mention, however, that from the point of view of readability, the decision of the editors of the Hound and Horn not to publish the second half is perhaps an understandable one, though there are very lovely descriptions of individual paintings and medals by Pisanello in the second half which I’ve set next to illustrations of the relevant medals. A third essay exists, the second in the series on `Matteo de’ Pasti’, and though it is rather immature, it is fascinating as far as debates on the iconography of the Tempio are concerned. I cannot lay my hands on it at the moment, but perhaps it would be amusing to see it published in Italian translation before it has ever seen the light of day in English! The entire second section of my book - chapters 2 - 6 - is devoted to analysis of the `Four Essays’ which are, perhaps, collectively, undevelopped compared to Stones of Rimini (though, again, `Pisanello’ is the exception here).
I do hope you enjoy reading them at any rate.
With kind regards,
Yours sincerely,
Richard Read.






Caro Moreno Neri, 
accludo una serie di pubblicazioni concernenti il rapporto di Adrian Stokes con Ezra Pound e dai `Four Essays on the Tempio Malatestiano’ che furono precedenti a The Quattro Cento e Stones of Rimini ma offrono la base di quello che sarebbe stato il volume finale della trilogia se Stokes e Pound non avessero litigato. Devo dire che parti molto significative di ‘Agostino’ furono cannibalizzate per Stones of Rimini - come sono sicuro riconoscerà, sebbene ‘Pisanello’ sia assai meno cannibalizzato e possa rappresentare la migliore cosa da tradurre dal punto di vista riminese perché il suo tono e stile sono piuttosto unici. Meno della metà del saggio fu pubblicato nella rivista letteraria americano The Hound and Horn e di nuovo come saggio di apertura del primo volume di Lawrence Gowings del 1978 The Critical Writings of Adrian Stokes, ma io ho trovato la seconda metà nell’Archivio della Tate e ho pubblicato il saggio nella sua interezza per la prima volta in una delle pubblicazioni allegate a questa lettera. Dovrei dire, comunque, che, dal punto di vista della leggibilità, la decisione dei redattori di Hound and Horn di non pubblicare la seconda metà forse è comprensibile, sebbene ci siano descrizioni molto belle di singoli dipinti e medaglie di Pisanello nella seconda metà, alle quali io ho messo accanto le illustrazioni delle relative medaglie. Esiste un terzo saggio, il secondo nella serie su ‘Matteo de’Pasti’, e benché sia piuttosto immaturo, è affascinante nella misura in cui riguarda le discussioni sull’iconografia del Tempio. Al momento non posso metter mano ad esso, ma forse sarebbe divertente vederlo pubblicato in traduzione italiana prima che veda la luce in inglese! L’intera seconda sezione del mio libro - capitoli 2-6 - è dedicata all’analisi dei ‘Four Essays’che sono, , forse, non sviluppati in confronto a Stones of Rimini (tuttavia, di nuovo, ‘Pisanello è qui l’eccezione). 
Spero che abbia piacere a leggerli in ogni caso. 
Cordiali saluti, 
sinceramente suo
Richard Read 



Ho dell'altra corrispondenza con Richard Read, ma sono copie di email che sono andate perdute, nei miei passaggi dal windows al mac, quindi sono andate perdute quasi tutte le loro date, ma sono tutte del 2002 e, per quello che mi ricordo, dovrebbero appartenere al periodo tra agosto e ottobre. Eccole qui di seguito, accompagnate dalla loro traduzione


Dear Mr Moreno Neri,
Firstly, please excuse me writing to you in English. I am learning Italian but it is not yet good enough for me to communicate properly.
I understand from Telfer Stokes that you have made a brilliant translation of Adrian Stokes's STONES OF RIMINI. I do hope you won't mind me intruding but Telfer has asked me, as the 'official biographer' of Stokes (my book entitled ART AND ITS DISCONTENTS: THE EARLY LIFE OF ADRIAN STOKES is to be published by Ashgate Press in London this November) to explain why the third volume of the trilogy that would have completed THE QUATTRO CENTO and STONES OF RIMINI was neither written or published.The answer is actually rather complicated and the full explanation occupies a good part of my book.In a sense the third volume WAS partly published, but only as two out of the four essays written between 1926 and 1934 whose working titles were 'FOUR ESSAYS ON THE TEMPIO MALATESTIANO'. The two that were published were the first one on Pisanello in the American humanist literary journal, THE HOUND AND HORN in 1930 and what was I think the third on Agostino di Duccion in T. S. Eliot's THE CRITERION in 1929. They reflect the original inspiration of the Tempio as tutored by Ezra Pound who as I'm sure you know met the much younger Stokes on the tennis courts of Rapallo in November of 1926. Their relationship was from their first encounter in games of tennis was fraught be rivalry as well as friendly respect, and after the high point of Pound's high estimate of the Agostino essay cracks began to appear for four main reasons:
1) Pound found out that Stokes had sexual relationships with men as well as women and began to make jibes at him about it
2) in 1933 he would have noticed the hostile intention from Stokes to overturn his championship of an older generation of modernist sculptors, namely Gaudier-Brzeska, Brancusi and Arp by superannuating his criticism in championing a new generation of sculptors - Ben Nicholson, Barbara Hepworth and Henry Moore - in a series of articles in the pages of the SPECTATOR magazine
3) the penny finally dropped that Stokes's view of Sigismondo in the pages of STONES was complicated by bisexuality rather than the aggressively straightforward heterosexuality that had persuaded Pound that Sigismondo was a foretype of Mussolini and
4) Stokes's quasi Freudian interpretation of the Tempio went against his own Neoplatonically vitalist interpretation of that building.Thus after Pound's warmly favourable view of THE QUATTRO CENTO the diffidence and thinly veiled accusations of plagiarism in his review of STONES prompted two very angry letters to him from Stokes that, except for a brief meeting in 1938 when Stokes passed through Rapallo with his first wife Margaret Mellis, ended their friendship and removed Stokes's desire to finish the trilogy with what, from my researches, would have been a volume pretty much along the lines of FOUR ESSAYS ON THE TEMPIO MALATESTIANO which were, in a way, a kind of commentary on Pound's Malatesta Cantos.
The story thereafter becomes very complicated but in essence, after a brilliant book on largely (but not exclusively) Italian painting called COLOUR AND FORM (1938), Stokes strove to fulfil the many promises he had made in the first two volumes of the trilogy by publishing VENICE, AN ASPECT OF ART (1947) and ART AND SCIENCE: A STUDY OF ALBERTI, PIERO DELLA FRANCESCA AND GIORGIONE (1949). None of these books really cohere as a resounding conclusion to QC and S of R, however, while the latter, ART AND SCIENCE, constitutes a kind of pivot for a very new kind of trilogy that opens with the earlier INSIDE OUT: AN ESSAY ON THE AESTHETIC AND PSYCHOLOGGICAL APPEAL OF SPACE (1947) and SMOOTH AND ROUGH (1951), autobiographies that speak about the discovery of his love for Italy in language which the chief editor of Faber and Faber deemed that of the finest writer in English of the day. Already in this strange but completed trilogy, however, here were the seeds of the final, psychoanalytic phase of his writings, and the dualism between carving and modelling most clearly and passionately annunciated in STONES OF RIMINI slowly modulated into the psychoanalytic dualism between the depressive and schizoid-paranoid positions that Stokes developed from Melanie Klein, with whom he was in analysis (for the most part) from 1929 to 1936 or 7. But the story is better told in my book, I hope!Since I trust Telfer's judgement I share his enthusiasm that some of these later books by Adrian Stokes will attract the zeal of your translating skills, for it would be so interesting for those growing numbers of British, American and Antipodean Stokesians to find out what the reaction of Italian readers would be to this subtle and unfairly negected lover of Italy and Italian culture.With kind regards,Yours sincerely,
Richard Read.


Caro Sig. Moreno Neri,
In primo luogo la prego di scusarmi se le scrivo in inglese. Sto imparando l’italiano ma non ancora così abbastanza bene da poter comunicare in modo corretto. Ho appreso da Telfer Stokes che Lei ha fatto una brillante traduzione di STONES OF RIMINI di Adrian Stokes. Spero che Lei non considererà la mia un’indebita intrusione ma Telfer mi ha chiesto, come “biografo ufficiale” di Stokes (il mio libro intitolato ART AND ITS DISCONTENTS: THE EARLY LIFE OF ADRIAN STOKES sarà pubblicato da Ashgate Press a Londra questo novembre) di spiegare perché il terzo volume della trilogia che avrebbe completato THE QUATTRO CENTO e STONES OF RIMINI non fu mai scritto o pubblicato. La risposta è davvero alquanto complicata e la completa spiegazione occupa una buona parte del mio libro. In un certo senso il terzo volume FU in parte pubblicato, ma solamente come due dei quattro saggi scritti tra il 1926 ed il 1934 il cui titolo del lavoro fu “FOUR ESSAYS ON THE TEMPIO MALATESTIANO”. I due che furono pubblicati sono il primo su Pisanello nella rivista americana umanistico-letteraria, THE HOUND AND HORN nel 1930 e  quello che mi sembra fosse il terzo su Agostino di Duccio nel THE CRITERION di T. S. Eliot nel 1929. Essi riflettono l'originale ispirazione del Tempio così come insegnata da Ezra Pound che, come sono sicuro Lei sappia, aveva incontrato il giovanissimo Stokes sui campi da tennis di Rapallo nel novembre del 1926. La loro relazione fu, fin dal loro primo incontro nelle partite di tennis, densa sia di rivalità sia di amichevole rispetto, e dopo il grande interesse dell’alta stima di Pound per il saggio su Agostino essa apparve cominciare a scricchiolare per quattro ragioni principali:
1) Pound scoprì che Stokes aveva avuto relazioni sessuali con uomini così come con donne e cominciò a schernirlo per questo
2) nel 1933 deve aver notato l'intenzione ostile da parte di Stokes di rovesciare il suo patrocinio di una precedente generazione di scultori modernisti, vale a dire Gaudier-Brzeska, Brancusi ed Arp, dichiarando superata la sua critica e battendosi a favore di una nuova generazione di scultori – Ben Nicholson, Barbara Hepworth ed Henry Moore - in una serie di articoli nelle pagine del periodico SPECTATOR
3) finalmente la capì quando la visione di Stokes su Sigismondo nelle pagine di STONES fu complicata dalla bisessualità piuttosto che dalla eterosessualità aggressivamente tutta d’un pezzo che aveva persuaso Pound che Sigismondo fosse un prototipo di Mussolini e
4) che l’interpretazione di Stokes quasi freudiana del Tempio era andata contro la sua interpretazione vitalista in maniera neoplatonica di quell’edificio. Così dopo la favorevole e calorosa visione di Pound su THE QUATTRO CENTO la diffidenza e sottili e velate accuse di plagio nella sua revisione di STONES provocarono due lettere adiratissime a lui da parte di Stokes tanto che, a parte un breve incontro nel 1938 quando Stokes passò per Rapallo con la sua prima moglie Margaret Mellis, la loro amicizia finì e rimosse il desiderio di Stokes di portare a termine la trilogia con quello che, dalle mie ricerche, sarebbe stato un volume assai molto lungo le linee di FOUR ESSAYS ON THE TEMPIO MALATESTIANO che erano, in un certo qual modo, una sorta di commento dei Cantos Malatestiani di Pound.
La storia diviene da allora in poi molto complicata ma essenzialmente, dopo un libro brillante ampiamente (ma non esclusivamente) sulla pittura italiana intitolato COLOUR AND FORM (1938), Stokes si sforzò di adempiere le molte promesse che aveva fatto nei primi due volumi della trilogia pubblicando VENICE, AN ASPECT OF ART (1947) e ART AND SCIENCE: A STUDY OF ALBERTI, PIERO DELLA FRANCESCA AND GIORGIONE (1949). Nessuno di questi libri aderisce realmente come una conclusione risonante a QC e S di R, comunque mentre il secondo, ART AND SCIENCE costituisce una sorta di perno per un genere molto nuovo di trilogia con il precedente INSIDE OUT: AN ESSAY ON THE AESTHETIC AND PSYCHOLOGICAL APPEAL OF SPACE (1947) e SMOOTH AND ROUGH (1951), autobiografie che parlano della scoperta del suo amore per l'Italia in una lingua che il capo-redattore di Faber & Faber giudicava quella dello scrittore più eccellente in inglese del periodo. Già in questa strana ma conclusa trilogia, comunque, c'erano i semi della finale fase psicoanalitica dei suoi scritti e il dualismo tra intaglio e modellazione più chiaramente ed appassionatamente annunciato in STONES OF RIMINI veniva adagio modulato nel dualismo psicoanalitico tra le posizioni depressive e schizo-paranoiche che Stokes aveva sviluppato da Melanie Klein, con cui era in analisi (per la maggior parte) dal 1929 al 1936 o 7. Ma la storia è raccontata meglio nel mio libro, spero! Siccome ho fiducia nel giudizio di Telfer condivido il suo entusiasmo che alcuni di questi più tardi libri di Adrian Stokes attireranno l’entusiasmo delle Sue abilità di traduttore, perchè sarebbe molto interessante per un numero crescente di inglesi, americani e stokesiani che stanno agli antipodi scoprire quale potrebbe essere la reazione dei lettori italiani a questo sottile ed ingiustamente negletto amante dell’Italia e della cultura italiana.
Cordiali saluti , sinceramente vostro,
Richard Read.



Caro Richard Read,
la prego, innanzittutto, di scusarmi per il ritardo di questa mia risposta. Anche se traduco brillantemente l’inglese in italiano, non riesco a fare altrettanto bene l’operazione inversa, come, presumo, Le avrà spiegato Telfer. In quest’ultimo caso mi faccio aiutare dal mio caro amico Franco Di Jorgi, che è stato l’interprete ufficiale in occasione del recente meeting italiano su Adrian Stokes.
Voglio anche subito rassicurarla. Non considero affatto la sua un’indebita intrusione. Al contrario è un grande piacere e una grande gioia poter comunicare con il biografo di Adrian Stokes. Attendo con ansia di poter leggere il suo libro. E questo anche perché, ormai da lungo tempo, ho avuto modo di apprezzare il suo lavoro nel sito dedicato ad Adrian Stokes. Già Ann Stokes mi aveva suggerito di contattarla, via email, quando nello scorso luglio le avevo scritto le seguenti parole: “Considering your exquisit kindness, I hope you can help me answer a question which has never left my mind in the past few weeks. Did Adrian ever leave notes or handwritings concerning the third - never written - book  dedicated to the Tempio Malatestiano? I am trying to find an answer to such question because in "Stones of Rimini" Adrian very often refers to precise and specific subjects. If such notes exist, it would be a new wonderful gift to our town, where they keep publishing hollow and useless books on the Tempio Malatestiano. Our only joy in reading these books is watching the colour pictures of the Tempio, which was recently and completely restored.”. Avevo riproposto il medesimo quesito a Telfer e mi ripromettevo di scriverle direttamente non appena mi sarebbe stato possibile. Sono perciò veramente felice che Lei mi abbia preceduto. Le sue note sono ampiamente esaurienti. Spero che lei mi autorizzerà a comunicarle ai miei amici studiosi di Pound e, in primo luogo, a Mary De Rachewiltz, la figlia e traduttrice in italiano di Ezra Pound.
Nei prossimi giorni cercherò di procurarmi i due saggi che cortesemente mi segnala su Pisanello e Agostino di Duccio per vedere se ne è possibile la pubblicazione di una traduzione. Sto cercando, con altri amici italiani - e, in prima fila c’è il mio piccolo, raffinato, ardito editore Walter Raffaelli – di far risvegliare nel nostro paese, partendo da Rimini, l’interesse per Stokes. Vedremo cosa ne scaturirà e che reazioni ci saranno. Tenga però presente che a Rimini c’è una pesante cappa della Chiesa Cattolica, che detiene il monumento, e degli studiosi stipendiati del Tempio di Rimini, che bloccano qualsiasi accenno a una libera interpretazione artistica, soprattutto se rinvia a un paganesimo mediterraneo. Lo stesso Pound, che potrebbe essere un grimaldello per dischiudere la porta a una più ampia conoscenza di A S, è ancora relegato per il suo passato politico, benché sia riconosciuto come uno dei massimi poeti del XX secolo. Così, tristemente, vanno le cose in Italia e solo alcuni spiriti liberi, fuori dal dilagante conformismo della destra e della sinistra, si danno da fare per un nuovo Rinascimento culturale
Nei prossimi giorni mi permetterò di spedirle per via postale la mia versione italiana di S of R, con altro materiale (l’invito, alcune fotocopie di ritagli stampa di quotidiani italiani su A S, ecc.). Se le posso essere utile in qualche maniera, non sarà per me un disturbo, ma un modo di sdebitarmi per le sue informazioni che – le assicuro – sono state preziosissime. Mi chieda, senza timore, qualsiasi cosa che ritiene possa esserle utile per il suo lavoro.
Le rinnovo nuovamente il mio piacere di poter comunicare con Lei. Farò tesoro dei suoi suggerimenti. E nell’attesa di nuove, la saluta cordialmente il suo devoto
Moreno Neri

Dear Moreno
if I may. I do apologize for the delay in thanking you for the magnificent cornucopia of writings - most of all the generous gift of your translation of The Stones of Rimini - that reached me some weeks ago. The fact is I have had to return to England from Australia to visit my elderly mother in hospital. In my continuing endeavour to learn the Italian language I could not have more alluring materials to work on, and I'm truly looking forward to the newspaper cuttings to gain some sense of how Adrian is received in Rimini. I look forward to further communication when I have explored your gifts more fully.
With best wishes,
Yours sincerely,
Richard.

10.10.2002

Caro Moreno
se mi è permesso mi scuso per il ritardo nel ringraziarLa per la cornucopia magnifica di scritti - soprattutto il regalo generoso della sua traduzione di The Stones of Rimini – che mi è giunta alcune settimane fa. Il fatto è che sono dovuto ritornare in Inghilterra dall'Australia per visitare la mia anziana madre in ospedale. Nel  mio continuo sforzo di imparare la lingua italiana non potevo avere materiali più allettanti per lavorarci sopra, e io sto aspettando veramente con ansia i ritagli di giornale per avere il senso di come Adrian sia stato accolto a Rimini. Attendo ansiosamente ulteriori comunicazioni mentre esploro più pienamente i Suoi regali.
Tanti auguri,
Distinti saluti,
Richard.
10.10.2002

venerdì 22 aprile 2011

«Adrian Stokes: “Poeta che mi guida”» di Moreno Neri


Moreno Neri

Adrian Stokes: Poeta che mi guida



Poeta che mi guida: non posso pensare a migliori parole che quelle di Dante su Virgilio per descrivere Stokes come critico d’arte”.

Ha proprio ragione  il filosofo Richard Wollheim a fare tale affermazione[i]. Adrian Stokes (1902-1972), esteta, critico, pittore e poeta londinese, con Stones of Rimini, una chiara eco, nel titolo, di Stones of Venice di John Ruskin, sfida l’accreditata egemonia fiorentina per affermare, al contrario, il valore fondamentale di centri rinascimentali come Venezia e Rimini con il suo Tempio Matestiano e in essi guidarci, per qualche oscura e impervia via. Sarebbero poi venute, nel rimbalzo dell’eco, negli anni Cinquanta, Le pietre di Firenze di Mary McCarthy con il suo incipit clamoroso: “Come si fa a resistere?”. Altrettanto impressionante è l’incipit di Stokes: “I write of stone.”
Stones of Rimini segna un punto d’incrocio e una transizione dall’ultima concezione dell’arte vittoriana a quella modernista, in particolar modo nell’architettura e nella scultura. Stokes riprende, e anzi la estende, l’opinione di Ruskin e di Walter Pater che l’arte sia essenziale al corretto sviluppo psicologico dell’individuo, ma intesse il loro insegnamento in una nuova trama estetica, foggiata dalla psicanalisi kleiniana e dalle recenti innovazioni nella letteratura, danza e arti visive. È , come Le pietre di Venezia di John Ruskin o La Bibbia d’Amiens, sempre di Ruskin e tradotta da Proust, un libro basato sull’esperienza emotiva del viaggiare e che deriva non solo da un profondo studio tecnico, filologico, artistico e letterario, ma da quella suggestione che soltanto il vedere può dare. Questo tipo di creatività – davvero l’affermazione dell’occhio – è la più seducente e quella che può ottenere i risultati migliori.
Tradotto per la prima volta in italiano e con tutte le sue originali illustrazioni fotografiche, come si avrà modo di vedere e leggere, uno degli aspetti affascinanti di questo libro è la distinzione che Stokes fa tra intaglio/modellazione, conducendoci alla scoperta della magia del Tempio Malatestiano a Rimini in una sapiente combinazione tra studio, scrittura di viaggio e atto di osservazione.
Saldato a Ezra Pound nel fascino che il monumento dell’Alberti e le sculture di Agostino di Duccio esercitarono, Pound in The Symposium affermò: “Il libro di Stokes è un libro contro lo squallore, contro la pochezza, è un libro per la vita intera, è veramente un libro per la ‘pietra viva’. Stokes ha inventato il termine ‘fior di pietra’ per una necessità interiore e a causa della manifesta qualità del suo tema[ii].
Pochi scrittori hanno la capacità di evocare la materiale presenza delle opere della storia dell’arte nel modo in cui lo fa Stokes, facendole divenire reali oggetti di ispirazione e deposito delle più profonde fantasie dell’uomo. Stokes è uno di quegli autori capace di aprirci  come un terzo occhio con l’affermazione del suo sguardo antiche, geologiche, eppur dimenticate interpretazioni e tali da apparire nuove attraverso quella suggestione che soltanto una rara quotidiana dimestichezza con il “vedere” può dare.
Nella sua vita Adrian Stokes realizzò un genere di fama che nulla ha a che fare con il successo. Nessuno dei suoi libri fu un best-seller, ma la sua prosa, ferocemente difficile per gli standard del tempo, afferrò l’immaginazione di alcune delle menti più interessanti e creative del suo tempo. Tra cui pittori, poeti, architetti, critici d’arte: Henry Moore, Barbara Hepworth, Ben Nicholson, Henry Reed, Colin St John Wilson, William Coldstream, Elizabeth Bishop, Lawrence Gowing, Andrew Forge; e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Ma dopo la sua morte all’età di 70 anni, le cose sono cambiate e il suo nome è molto più noto.
Eppure i suoi libri sono conosciuti più per “sentito dire”: sono dei solitari come fu il loro autore, titoli rari nei cataloghi bibliotecari. Ma il 2002, centenario della sua nascita e trentennale della morte, appare essere il rilancio, verso un pubblico più vasto, della bellezza e dell’acutezza della sua opera: una ristampa, in edizione economica, del Michelangelo da parte delle edizioni Routledge Classics; un convegno di tre giorni a giugno all’Università di Bristol, assieme ad una mostra di suoi quadri; un’altra mostra a New York in una galleria di Manhattan; la stampa negli Stati Uniti, dopo più di trent’anni di assenza, di un nuovo libro di Adrian Stokes The Quattro Cento and Stones of Rimini, ripubblicazione dei due libri in un singolo volume a cura della  Penn State University Press, distribuito in Inghilterra dalla Ashgate Press di Londra; quest’ultima casa editrice londinese annuncia per la fine dell’anno un nuovo libro, con 30 illustrazioni, di Richard Read: Art and its discontents: the early life of Adrian Stokes, biografia di Adrian Stokes, mentre le edizioni Gallimard hanno in corso di stampa la traduzione in francese di Venice.
Stones of Rimini è anche il secondo di due libri di una ideale trilogia che non fu mai portata a termine. Il terzo libro, mai scritto, doveva essere interamente dedicato al Tempio Malatestiano, in maniera più approfondita del precedente ed ispirato ai Cantos Malatestiani di Pound.
Sed tertium non datur. Il terzo libro non ci fu concesso. Ma diciamoci la verità: con tanti studi inutili e vuoti che girano per Rimini sul Tempio, c’è tutto il tempo per andare a recuperare questi eccentrici solitari d’altri tempi e di studiarseli per bene. Stokes, forse coerentemente, scelse di non tentare bilanci ulteriori e proporre prospettive, non adempì la promessa fatta di un completo resoconto sul Tempio. E quella speranza messa a chiusa della nota introduttiva del suo libro, con tutta evidenza, non voleva tracciare la parola “fine”, che nemmeno Sigismondo riuscì a tracciare, ma lasciare aperta una vicenda tuttora in corso.
Infine, non si può non parlare di prosa ferocemente difficile riguardo Stokes. Parlando della pietra del Tempio, ci sarà consentito di toglierci un più misero sassolino dalla scarpa, prima che qualche imbecille locale dal sicuro radioso avvenire nel campo della riminese “pochezza e squallore” degli studi (sic) malatestiani parli di una “traduzione discutibile”. È gia accaduto con la mia traduzione del De differentis, basata sull’originale greco, sulla versione inglese e quella francese, e perciò, forse, il risultato più apprezzabile in italiano di così vari previ addendi.
Nel tradurre c’è qualcosa di perverso? si interrogava Anceschi, come ben sa Luca Cesari a proposito di Eliot, che nel ’29 e ’30 ospitava sul suo Criterion i saggi di Stokes che si sarebbero poi trasfusi in Stones of Rimini. E Anceschi giungeva alla conclusione su una questione così intricata che, si sa, non si traduce mai perfettamente. A smentita di una nuova diceria gratuita, nel presente caso l’editore Raffaelli aveva un obbligo contrattuale con la Penn State Press, divisione della Pennsylvania State University, di una traduzione “fedele e accurata”. Il mio “duro lavoro” di traduzione, come lo ha definito Gloria Kury – direttrice editoriale della Penn  – ha superato il vaglio della revisione durata qualche mese. Ma resta sempre vero che uno scrittore che viene tradotto è uno scrittore in esilio in una lingua straniera. Resta il rischio del fatto che “tradurre è un po’ tradire”: alla fine ho esiliato me stesso quanto più possibile, mi sono schiacciato e scacciato me stesso per primo; e ho scelto, anche se aspramente per il lettore italiano, la resa più letterale del pensiero, della musica, del colore e dei timbri delle pagine stokesiane, a costo di restare stupito e straniato, talora e alle prime letture, di quanto andava svolgendosi ed emergendo nelle mie traduzioni.
Ma così vanno le cose a Rimini. “Una città di ciottoli stravaccata” – come la descrive Stokes – dove di unico, organico, eterno, sta il Tempio. Qualsiasi novità che venga a scardinare il sopito “squallore” di cui parlava Pound è accolta con sfavore e dispetto dall’asservimento del pensiero e della cultura e dalla generale imperante decadenza. Quello con Stokes – siete avvisati – è un incontro pericoloso. È  un autore irriducibile. Come Sigismondo era “di misura più grande del normale, era l’elefante intrappolato nelle piccole giungle della politica italiana” e “gli equilibristi conobbero subito il loro naturale antagonista”. Allo stesso modo, si ha l’impressione, Stokes è stato temuto, non perché di minaccia all’esistenza di altri studiosi del Tempio, ma perché la umiliano con la loro presenza. A simili esseri si adatta la Massima di Goethe:

La maggioranza degli uomini non può fare a meno degli individui superiori, eppure questi finiscono sempre per esserle d’insopportabile peso.[iii]

Così si spiega l’assenza di una traduzione in italiano di Stokes per quasi settant’anni. Il suo libro andava verso la vita quando i più andavano, e vanno, verso la pochezza. È un elemento perturbatore, il miglior attestato di qualità, dalle dimensione inadeguate e dalle direzioni inaspettate. Uomini come lui, come Pound, liberi, autonomi, capaci di osservazione e governo delle idee sono davvero grandezze “elefantiache”, incommensurabili, superbamente irriducibili alle grandezze note, non assimilabili e di conseguenza solitari e solari.
Stokes, a grandi falcate, ripercorre la storia della critica del Tempio. Da Charles Yriarte, con il suo “gran colpo maestro”, a Corrado Ricci, un libro notevole ed esauriente ma “prosaic” – prosaico, banale – alla “fissazione maniacale” di Del Piano. Se oggi Stokes potesse vedere i vacui libri sul Tempio Malatestiano, cui fa velo al vuoto pneumatico il bel packaging e le belle illustrazioni a colori, morirebbe una seconda volta. Dalla vergogna.
Belle illustrazioni? Non facciamoci ingannare dall’avvento del colore. Ho il forte timore che un’attenta lettura di Stokes, metterà nuovamente in discussione il risultato dei restauri della scultura del Tempio. Faremo fatica oggi a riconoscere nei marmi lo splendore dell’incarnato, i bagliori e i colori di cui parla Stokes. La pietra intagliata richiede l’arida pomice, un duro lavoro manuale di levigatura – ricorda Stokes–. Potremmo aggiungere: non la rapidità meccanica del flessibile. Lo diciamo con il maggior garbo possibile, ma con sconsolatezza. Cosi è nel restauro, così è nella critica. Il Tempio richiede l’affermazione dello sguardo, l’espressione del profondo del cuore e il lavoro della mano, non l’ovvietà, la soluzione più semplice e meno faticosa, quella pre-confezionata di chi la sa lunga su tutto e in una vacanza interiore nulla vede. Rispetto a tale atteggiamento, anche noi, come Stokes, preferiremmo tenerci in disparte ed esser di dispetto, personali, singolari, irripetibili. Così fu Pound, così fu Stokes. Metafisici, eccentrici, magici, irrudicibili e indicibili se non da rari omologhi. Smesse le sembianze del traduttore, schiacciato come la confettura di frutta bronzea tra le fette di pane della massa del Tempio e della prosa di Stokes, ne esco dilavato lettore a rimirare il “fior di pietra”.
Il carattere fortemente “conscio”, cioè sapiente nel senso più forte della parola, della critica di Stokes spiega ancora la sua rimozione. Non sono un critico d’arte – ma credo di aver raggiunto un certa competenza sul Tempio. Ho la felice illusione di non considerarmi di esso uno studioso bensì uno studente. La cui somma, e insieme minima aspirazione, è quella di continuare a studiare dandovi conto, ogni tanto, in momenti come questo, del risultato, ma con un lavoro a specchio che non deve limitare sebbene meglio definire il vostro personale, libero punto di vista e itinerario di ricerca. Virgilio che mi guida, appunto. Mi accorgo dunque di cercare di utilizzare il metodo di Stokes. Uso la prima persona come fa Stokes – Io scrivo della pietra – perché l’autentico, la coscienza personale, la presa di posizione non generica non mi fa paura. Alla mia età, dove qualche consuntivo mi sarà autorizzato, mi considero ancora una promessa anche se non del tutto sicura, considerato lo sfondo e il fondo di letterame, millanteria e vacuità che va (e come va). Comincio ad avere qualche medaglia da nascondere – e magari sono delle “patacche” che solo per me hanno un valore “affettivo” – se è vero che studiosi del Warburg Institute come Yuri Stoyanov – forse uno dei massimi esperti di zoroastrismo nel mondo – mi ha voluto qualche mese fa nella duplice veste di suo Cicerone e Virgilio in una visita al Tempio. Diceva Stokes: Siamo ricondotti alla notte babilonese e come il Caldeo allora ho battuto lo spazio attraversato dalle stelle del Tempio.
Dunque qualcosa sulle grandi intuizioni di Stokes sul Tempio mi preme dirla. La prima che gli studi di Charles Mitchell gli sono, pur senza nominarlo, enormemente in debito. Il collegamento col Somnium Scipionis e e la ora citatissima frase di Valturio sull’esoterismo delle raffigurazioni del Tempio delicatamente appaiono per la prima volta in Stokes. Resta ancora assolutamente da indagare il collegamento tra Tempio e l’Urania del Pontano. Una strada che Stokes indica ed è ancora tutta da battere, mentre già segnalva la delusione che in tale ricerca procura l’Astronomicon di Basinio. Si vada a vedere chi l’ha pubblicato, qualche anno fa, con dovizia di edizione – si badi bene: nulla da eccepire –, ma testimonianza di come si preferisca battere gagliardamente i vicoli ciechi. E intanto Stokes era meglio rimanesse “titolo raro”. Sorretto da una robusta e raffinata architettura, “muratoria” direbbe Stokes, il libro di Stokes restava unità dispersa, remota come stella nello spazio siderale.
Davvero colpevole questa disattenzione verso Stokes. Soprattutto se si pensa, per rimaner su un piano eminentemente pratico, che Stokes, Ezra Pound e Bernard Berenson[iv], negli anni Venti, visitavano ripetutamente la città di Rimini e il suo Tempio, facendoli conoscere nel mondo internazionale della storia dell’arte. Di fronte a tale mancanza di riconoscimenti e di riconoscenza, non mi stancherò di ripetere: a loro tre va il merito morale e intellettuale se nel dopoguerra, in una Rimini rasa al 90% dai bombardamenti, riminesi stupiti videro ricostruire pietra per pietra il Tempio con i 65.000 dollari della Fondazione Samuel Kress. Come bollare questa mancanza, tale elusione? Se pensiamo che Stokes, come ricorda Pound[v] si permetteva di dire al più anziano Berenson in una mitica conferenza, nel Tempio Malatestiano, su Piero della Francesca, ad un manipolo di ricche signore americane impellicciate, la seguente frase  “where to git off at,”. Una frase che Caterina Ricciardi ricorda in una delle ultime pagine del suo splendido libro ΕΙΚΟΝΕΣ Ezra Pound e il Rinascimento[vi], una frase intorno alla quale ho interrogato Mary de Rachewiltz – e la ringrazio pubblicamente per le sue parole e il suo dono porta-fortuna. Bene se un divertito e insieme compiaciuto Berenson, che comunque è stato il più notevole storico dell’arte perché ha girato tutta l’Italia per fare i suoi cataloghi, – i suoi elenchi ferroviari dei pittori, come li si definisce – doveva scendere e far posto al più preparato Stokes, cosa si dovrà dire a chi in questi anni si è occupato del Tempio con amene futilità e circospette omissioni. Solo scendere? Meglio: sprofondare… Pound ce l’aveva con gli usurai, ma cosa dire, oggi in questo caso, dei velinari di professione, complici e quinte colonne, calabrache censori per vocazione. Non dubito che questo libro darà fastidio ai gestori trionfanti dei tempi presenti e del loro monotono borborigma dell’inutilità di una lettura del Tempio. Innanzitutto perché è uno di quei bei libri che non rivelano i loro segreti tutti una volta e poi perché, ancora chiosando l’efficace frase di Pound, ci si rende conto che confrontandolo con altri libri sullo stesso tema, pare come se questi ultimi riescano a vedere le sculture di Agostino di Duccio ma non il Tempio, al modo di quegli osservatori che vedono gli alberi ma non il bosco, figuriamoci la radura e la sacra fonte zampillante. Diversamente da chi, con occhio pigro e pensiero arido, trae solo scorie di miraggi, Stokes nella sua visione sa corteggiare nella terza parte del suo prezioso libro – “Acqua, Pietra e Stelle” – il sacro mondo degli dei e il loro ‘influsso’
So bene che siffatti “eroici furori” per la bellezza hanno condotto spesso al rogo o al carcere ma gli dei, diceva Pound, in un annunciato ritorno all’età dell’oro

Guarda, ritornano uno per uno,
Con paura, solo a metà svegli[vii]


E rimarcava Stokes:

addirittura ora a Rimini, proprio come il glorioso, brillantissimo sole che disperde il buio, Febo dei più antichi giorni sorge dall’Adriatico,[viii]

Di Stokes ci sarebbe da dire molto altro e c’è da augurarsi che ci si lavori a lungo intorno. Un’opera non dunque perduta, ma solo rimandata. Davvero come diceva Pound il suo è un libro per l’intera vita, è un continuum incalzante. Leggerlo è un antidoto alla pochezza, alla scoperta di quel Tempio che è “una mistura di letteratura e di pietra”. Ma l’ho gia detto, con altre parole, in questa stessa sala un anno fa, quando si celebravano Ezra Pound e Sigismondo[ix]. L’ha detto, smisuratamente meglio di me, Ezra Pound nei suoi Cantos Malatestiani. Insomma non ci sono conclusioni: il Tempio non è stato terminato, i Cantos non sono terminati, la trilogia di Stokes neppure. Le parole su di essi rimarrano a cielo aperto perché le parole che scambiamo con loro non sono nostre, ci sovrastano, ci trascendono quasi. E noi lo sentiamo. Sentiamo questa tensione ad ‘sollevare’, a ‘elevare’, a ‘ristabilire’, ma non propriamente a ‘completare’, a ‘terminare’, a ‘concludere’.
Lo dice Stokes con Pietra, Acqua e Stelle. La natura e l’intensità di quella luce che emana dall’oggetto-Tempio evocato generano significato. È la visione di cosa è stato e torna sempre ad essere, perché possibile.
In ciò, riconosco in Walter Raffaelli una caparbia volontà di far rivivere il sentimento del bello che tanti, troppi vorrebbero negletto e cancellato; di dare “durata”, quella sensazione di una frazione di eternità, cui Peter Handke ha dedicato un canto. Così attraverso questa volontà di Walter anche Rimini, distratta, sviata ma non del tutto, con questa traduzione rende omaggio ad Adrian Stokes e lo toglie dall’esilio in cui fu seppellito. “Nothing in writing is easier than to raise the dead”, – niente è più facile nello scrivere che resuscitare i morti – come afferma Adrian Stokes in Stones of Rimini. Con la medesima mera magia del segreto ripetersi che già l’editore Walter Raffaelli – cui vanno invero gli applausi di prammatica che tra poco scatteranno – applicò prima a Mitchell, poi a Giorgio Gemisto Pletone –, sorge, ora, dai recessi del Tempio di Malatesta, un altro Lazzaro, Adrian Stokes. Il segreto della magia ce lo spiega Stokes ed è simboleggiato in Isotta, la dea che influenzò Sigismondo… Il potere, la magia che esercita è, come ogni seduzione femminile, quel magnetismo che anima l’uomo che vuol dirsi tale e che ha il segno della necessità e di una vita da vivere, quella magia erotica, quell’influsso connesso all’acqua… Hudor Et Pax… … l’influsso di tutta una vita …, un simbolo talmente intenso quale mai fu concepito della vita, del rinnovamento, dell’amore…[x].



Montefiore, 3 agosto 2002                                                                                       Moreno Neri





[i] In The Image in Form: Selected Writings of Adrian Stokes, Icon Editions. New York: Harper & Row, 1972; Harmondsworth, Penguin Books, 1972.
[ii] In realtà l’affermazione, con più precisione, è dedicata a The Quattro Cento, primo libro della prevista trilogia di Adrian Stokes, e non già a Stones of Rimini.
[iii] Johann Wolfgang Goethe, Massime.
[iv] Nè andrebbero dimenticate, nello stesso periodo, le visite di Aldous Huxley, ma anche sulle visite dell’autore della Filosofia perenne al Tempio Malatestiano, modello esemplare del nunc eterno, è calata una coltre di colpevole e provinciale silenzio. Ma quella religiosità chic che T. S. Eliot osservava in Huxley è del tutto aliena agli odierni aristotelici, campioni dell’antimetafisica.
[v] Cfr. Ezra Pound and The Visual Arts, a cura di Harriet Zinnes, New York, New Directions, 1980, p. 225
[vi] CATERINA RICCIARDI, ΕΙΚΟΝΕΣ – Ezra Pound e il Rinascimento, Liguori, Napoli, 1991, pp. 321-22.
[vii] Cfr. Ezra Pound, “The Return” in Personae: The Collected Shorter Poems of Ezra Pound , I ed. 1926, New Directions, New York, 1971.
[viii] Adrian Stokes, Stones of Rimini, Raffaelli Editore, Rinini, 2002, p. 241.
[ix]  Cfr. AA. VV., LA CONCA DEL TEMPIO – Ezra Pound e Sigismondo Malatesta – Atti della Tavola rotonda, Castello di Montefiore Conca, 16 giugno 2001, Raffaelli Editore, Rimini, 2001, pp. 39-50.
[x] Adrian Stokes, Op. cit., p. 231