venerdì 29 aprile 2011

CUSTODI DEL RITMO PITAGORICO

Ho finito, più o meno, di repertoriare le mie attività del biennio 2001-2002. Aggiungo il testo di una mia allocuzione, tenuta a Belmonte Calabro nel tardo pomeriggio del 19 maggio 2001, in occasione della Gran Loggia del Rito Simbolico Italiano e già da tempo on line su una pagina, di non facile reperibilità, del sito del Rito Simbolico Italiano. L'allocuzione fu letta in pubblico, ossia alla presenza di profani e membri di altri Riti o di nessun Rito.


TAVOLA
DEL M.·. A.·. MORENO NERI

Presidente del Collegio "Bononia"


alla Serenissima G.·. L.·. 2001
del Rito Simbolico Italiano
Belmonte Calabro, Villaggio Albergo Belmonte (VAB), 19 maggio 2001



CUSTODI DEL RITMO PITAGORICO


Gentili Signore, Venerabilissimo Gran Maestro, Eminenti rappresentanti del Grande Oriente e degli altri Riti o di nessun rito, carissimi Fratelli Maestri Architetti,





il nostro Rito oggi si presenta con un corpo vigoroso, eppure snello. E ciò è proprio per quella ricercata e accurata selezione dei Maestri che intendono entrarne a far parte, un vaglio che è determinato da quel senso della misura che ci è proprio e da quella massima tradizionale che afferma che “molti sono i portatori di ferule pochi i Bacchi”.


Ho fatto in questo istante un riferimento alla geometria e agli antichi misteri. Non vi sarà ignoto, del resto, l’asserto che il R S Isi riallaccia alle più antiche tradizioni iniziatiche italiche ed in particolare alla Scuola di Crotone, fondata da Pitagora”. Si manifesterà – certo ad un orecchio profano – attestazione spericolata e peregrina. Meno rara e tutt’altro che singolare è tale affermazione per chi è aduso alle “catene d’amore e d’unione”, per chi, come noi, ne ha saputo meditare ed introiettare i significati simbolici. Non a caso insistiamo sulla “consapevolezza che la LM costituisce il veicolo mediante il quale viene trasmessa in Occidente la Tradizione iniziatica” e sul collegamento del perfezionamento dei membri del Snella via aperta all’iniziazione massonica al modo come la Tradizione si è presentata in Italia nell’insegnamento di Pitagora”.


Oggidì quest’idea di perennità della trasmissione è come offuscata e il nostro appare un ostinato credere. Ma è la nostra àncora che ci impedisce una smorzata volonta, una sordida noncuranza. Gli altri, i profani tutti i desideri li indirizzano o verso la Città Celeste o il Progresso. L’uno e l’altro patria astrale o limite d’un tempo lineare, che tolgono il dovere individuale della costruzione terrena. Un Simbolico non può che essere solidale con un circolare od elittico sogno di durata e d’eterno ritorno, diversamente da chi pone il mito dell’Età dell’Oro esclusivamente al termine della storia, anziché porla anche al suo inizio. Su questo tempo circolare scivola la retta della nostra vita.


Neppure ci persuade il progetto di salvezza della tecnica, né tantomeno che essa abbia eroso per sempre gli altari del sacro. Anzi nell’albeggiare del sacro e del mito troveremo le necessarie e sempiterne risposte. In quello, ad esempio, del Protagora di Platone, in cui ci si svela che nella refurtiva divina di Prometeo, - fuoco e sapienza tecnica, rubate agli dei e donate l’una e l’altro ai mortali- mancava la sapienza politica. Era oltremodo custodita da Zeus e vigilata da terribili guardiani.


E, poiché [con la sapienza tecnica e con il fuoco] l’uomo divenne partecipe di sorte divina, in primo luogo, in virtù di questo legame di parentela che venne ad avere col divino, unico fra gli animali credette negli dèi, e intraprese a costruire altari e statue di dèi. Ma senza l’arte politica gli uomini non potevano coesistere e non facevano altro che distruggersi a vicenda. “Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente, mandò Ermes a portare agli uomini la giustizia e il rispetto, perché fossero principi ordinatori di Città e legami produttori di amicizia.


Il testo è persuasivo. Lo sfruttamento del furto prometeico da sempre ha rischiato di annientare l’uomo. Non è vero come Umberto Galimberti ha cercato invano di convincerci alla GLdel GOI che la tecnica disabilita il sacro. Essa è invece dono del primo, ma gli altri doni portici dalle mani ermetiche furono successivamente giustizia e rispetto. Pericolosa è l’una senza questi altri: Nihil scientia sine coscientia.


Compito del filosofo, diceva Pitagora, è contemplare il cielo. Il tracciato di una notte stellata misurerà dunque le nostre certezze. Osserveremo il crescere di Orione come fu osservato nel peregrinare di Odisseo e nel viaggio di Enea. Non vi è differenza tra quelli e il nostro andare. Ogni esistenza ha le sue partenze, lungo il viaggio incontreremo sirene e ciclopi, ci si imbatterà in frecce ma sovente il loro dolore ci trafigge per sanarci. La storia di antiche gesta ed opere non ci sarà qualcosa d’estraneo. Ci convincono anzi di un mondo decrepito che ha bisogno di essere ricondotto alla sua giovinezza, di un Occidente che non è più in grado di intendere il linguaggio del mito, del simbolo, degli Antichi Misteri. Ma poiché nel mondo delle idee nulla si distrugge, l’originario messaggio è sopravissuto presso la nostra Istituzione per quanto orbato della sua remota e primigenia luce.


Secondo Platone il numero nasce dalla osservazione del cielo e dei cicli planetari, dando luogo alla “difficile scienza del sorgere e del tramontare degli astri”. Una scienza che poi, per così dire, “atterra”. Simbolo ne fu lo gnomone che altro non fu con stilo e piano che una squadra confitta nella terra. All’ordine dei cicli celesti, il perfetto e calcolabile moto del Sole, della Luna, dei pianeti, deve corrispondere un eguale ordine e similarità degli eventi terrestri, e non solo di quelli naturali, ma anche di quelli umani. “Ciò che sta in alto è come ciò che sta in basso e ciò che è in basso è come ciò che è in alto, per fare il miracolo dell'Unità...”. Esso rese possibile rappresentare la crescita e la diminuzione di grandezze, mantenendone inalterata la forma. Tramite esso si costruirono i templi: “il prodotto avanzato di un’arte della misura di origine rituale, che aveva tra i suoi compiti quello di riprodurre sulla Terra gli eventi celesti”.


Come uno gnomone noi siamo, l’antica squadra, lo sguardo alle stelle, ma i piedi sulla terra. Il Massone che bussa alla porta del XXI secolo è oggi più che mai un costruttore di templi.


Si addita dunque un compito esaltante: la gioia del viaggio, della nostra divina rotta, non sta nella tappa che si raggiunge, ma nel viaggio in se stesso. La felicità che l’iniziazione procura non sta nelle molteplici scoperte dovute alla ricerca, ma nella ricerca in quanto tale.


Ed anche nei più duri momenti, quelli in cui l’astro della LM pareva oscurato, anche nei momenti de ”l’inverno del nostro scontento”, l’architrave del nostro Tempio si è sostenuto sulle solide e imperiture colonne dell’arte architettonica che ci si mostrano, mirabilmente condensate, in queste parole di Marguerite Yourcenar, tratte dalle Memorie di Adriano, quell’imperatore che poc’anzi il nostro Gran Maestro ha citato:


Sopravverranno le catastrofi e le rovine; trionferà il caos, ma di tanto in tanto verrà anche l’ordine. La pace si instaurerà di nuovo tra le guerre; le parole umanità, libertà, giustizia ritroveranno qua e là il senso che noi abbiamo tentato d’infondervi. Non tutti i libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno e sentiranno come noi: oso contare su questi continuatori che seguiranno, ad intervalli regolari, lungo i secoli, su questa immortalità intermittente.”


Se perciò l’età dell’oro, quella dell’armonia e dell’ordine è ciclica ed intermittente, ci atterremo alla norma del distacco. Metteremo da parte l’Io. Davvero ci svestiremo dei metalli. Bisognerà ripulir la testa, nettare, a colpi di sapone e bastone, i pregiudizi da difendere, le passioni e i desideri da coltivare, le paure da sedare. Dei juvantibus, con l’aiuto di quegli dei che presiedono a questo genere di lavori, s’accenderà, allora, un lume, affiorerà il dono della chiaroveggenza e quello della libertà. Allo sguardo dell’uomo i confini appariranno più sterminati di quelli cui è subordinato ed assuefatto. Non è detto che quel raggio di sole debba restare un lampo. Taluno coltiverà in permanenza quest’altro e ulteriore modo di sentire il mondo come un’intima e incombente necessità e considerererà dunque il Grande Architetto come - affermava il Fratello Proudhon - “un’ipotesi necessaria”.


Lo si ripete, se il nostro obiettivo è quello della rigenerazione, della pitagorica palingenesi, ci orienteremo verso il processo e non l’esito. Stiamo navigando su queste rotte perché vogliamo arrivare in porto, ma il vero motivo del nostro viaggio è che vogliamo compierlo. E ne abbracciamo la saggezza dell’incertezza.


Saggezza dell’incertezza significa distaccarsi dal metallo del passato, il passato è la prigione delle cose note, e ne fuggiremo per entrare in quegli spazi sterminati ed ignoti. Un neurobiologo vi dirà che l’uomo medio elabora circa 60.000 pensieri al giorno. Sorprendente! Ma ciò che imbarazza è che il 90% di essi sono quelli di ieri. L’uomo medio è un fascio di riflessi condizionati, di nervi costantemente scatenati da persone e circostanze che producono esiti prevedibili.


I versi d’oro pitagorici ci insegnano: “Agisci in modo che nulla possa danneggiarti e non agire senza riflettere. Fa che i tuoi occhi non accolgano il dolce sonno prima d’aver ripercorso per tre volte gli atti della giornata. In che cosa ho mancato? Che cosa ho fatto? Quale dei miei doveri non ho compiuto?… Ecco ciò in cui dovrai esercitarti, ecco il compito che richiede tutti i tuoi sforzi, ecco ciò che devi prediligere e che ti porterà sulle tracce della virtù divina”.


C’insegnano dunque ad usare i ricordi ed il passato, ma non permettono che i pensieri di ieri ci usino, il che rappresenta la differenza essenziale tra l’essere una vittima ed un architetto, demiurgo e creatore.


L’arte reale o arte regia è l’arte dell’edificazione cui corrisponde l’architettura e la geometria sacra. Il Tempio ne è l’archetipo. “Nessun ignaro della geometria entri sotto il mio tetto” raccomandava Platone, erede di Pitagora. Ma, qui e fin dal principio, è evidente un elemento allegorico imprescindibile, spesso lo ripeto quando mi si dà l’occasione: il Tempio non viene costruito per essere terminato, ma è un’opera destinata ad attraversare i secoli, diretta verso la sua imprecisabile e quindi remota inaugurazione, in un sentimento d’eternità non formulato, ma plasmato da inaugurazioni minori (che sono le opere degli uomini, alcune celebri altre dissimulate, ma non meno importanti), come punti fermi per apprezzare l’indiscutibile avanzamento della costruzione, ma anche come gradi e stimoli rivitalizzanti di cui l’Umanità ha bisogno per mantenere in sospeso una così incommensurabile speranza. Sette scalini saliamo, ma continuiamo a vederne sempre sette. La scala dei grandi misteri non ha mai fine, il senso della vita non si esaurisce, né trova una definizione esaustiva in base alle leggi della logica.


Infatti, ciò che dà un brivido singolare al sogno incompiuto del Massone, è il sospetto contenuto nella voluta manifestazione di questa continua costruzione, l’intuizione della vertiginosa proposta che sorge dall’ininterrotto progetto: lontano come resta da quel che deve essere il definitivo incontro con la sua forma, eppure abbastanza vicino a questa da lasciare intravedere la sua smisurata natura.


Come il lavoro del Massone e del suo Tempio in perenne costruzione, cosi è l’opera dell’Umanità. L’incompiutezza del progetto, del lavoro architettonico di ognuno di noi e dell’Umana Famiglia, non solamente deve essere prevista: è presumibile, necessaria, come la stessa ipotesi del Grande Architetto. Repetita juvant: non c’è il porto, c’è la barca che naviga verso il porto e non giungiamo a destinazione perché la meta è il cammino.


Nelle caratteristiche dell’operatività del nostro Rispettabilissimo Rito, assieme al richiamo all’approfondimento dell’insegnamento pitagorico, si dà rilievo anche alla molteplicità di questi cammini “che la Conoscenza realizza e della diversità delle forme che l’Architettura realizza”. Possono dunque esistere molteplicità d’impostazioni di pensiero. E’ noto e si è più volte messo in evidenza che la Tradizione Occidentale, così come storicamente si presenta nella moderna Massoneria, ha una triplice ascendenza: quella ebraico-allessandrina, la cristiano-cavalleresca e la nostra, quella ellenico-romana, che tra le sue origini dalla Schola Italica, voluta da Pitagora e che è stata la pietra di fondamento di tutta la filosofia analogica occidentale, da Platone ad oggi. Questo assunto per noi Simbolici è una divisa, e cioè che ogni traguardo verso la Conoscenza richiede all’inizio una scelta discriminatoria, ma che nel procedere del Cammino la forma architettonica prescelta conduce, in ogni caso, alla realizzazione del Tempio. Geometricamente paragoneremo questi cammini ai raggi che partiti da un punto qualsiasi della circonferenza si ricongiungono al centro. In proposito i Fratelli degli altri Riti scopriranno l’esistenza di analogie con la nostra Tetraktys, il cui simbolo viene praticato nelle nostre Logge e Collegi. Rinverranno una piramide nel nostro Quadro di Loggia, o rimanendo nella simbologia del cerchio centrato del grado di Maestro della tradizione anglosassone, il cui valore numerico è 9, la circonferenza, ed 1, il centro, pari a 10 come la Tetraktys, noteranno in questi simboli geometrici, apparentemente diversi – appunto per quell’immutabilità nella varianza -, l’ascesa dal molteplice all’Uno. E’ questa necessaria mutabilità di forme che mantiene tra noi quello spirito di vicendevole rispetto, quella mutua deferenza ed ammirazione, quella concordia in questo grande Ordine e che, pur lasciando ai diversi Maestri che lo compongono la facoltà di scelta del Rito che gli è più congeniale, come in tutte le grandi opere della natura, sa conciliare la molteplicità con l'armonia in una medesima, unica, indissolubile Famiglia. En to pan


Dunque fin dall’antichità più remota l’obiettivo dell’iniziatica Famiglia fu d’adeguare la natura all’ordine cosmico e di far emergere l’ordine dal caos. Al ciclico ritorno dell’Età dell’Oro sta uno sforzo di approssimazione che ha alla sua base i potenti strumenti della muratoria, il tentativo di ri-creare, mattone dopo mattone, il Tempio più umano e quindi più divino.


Vi sarà dunque un modo! Tradizionalmente si chiama in causa l’uguaglianza geometrica, appunto proporzionale. La sacra tetraktys rappresenta per noi il modo più fecondo della realizzazione dell’ordine nel disordine e quindi dell’unità nella molteplicità, la connessione a quella misura suprema che è appunto l’Uno, il Sommo Bene, il Bello, il Giusto. Quell’Uno che lega la molteplicità ed esplicandosi in essa fonda la simmetria cosmica. Guai a chi persegue l’eccesso e trascura la geometria, perchè cielo e terra e dei e uomini sono tenuti insieme dalla comunanza, dall’amicizia, dall’ordine, dalla temperanza e dalla rettitudine. La eco dell’En to Pan , uno di quei pochi e saldi principi della Filosofia Perenne o Tradizione, ascoltiamo oggi nelle parole dei modelli sistemici di quanti – fisici, biologi, neurofisiologi, ecc. - si richiamano ad un approccio olistico e che sono sintetizzate nell’esergo de La rete della vita di Fritjof Capra:


Questo sappiamo. Che tutte le cose sono legate come il sangue che unisce una famiglia. Tutto ciò che accade alla terra accade ai figli e alle figlie della Terra. L’uomo non tesse la trama della vita; in essa egli è soltanto un filo: Qualsiasi cosa fa alla trama l’uomo lo fa a se stesso”.


Abbiamo parlato della squadra, diremo del compasso. Quando usiamo la locuzione “rimettere in sesto” o il verbo “assestare” abbiamo forse scordato che, etimologicamente, hanno strettissime attinenze col compasso, la cui apertura corrisponde ad un sesto della circonferenza descritta e perciò l’arco a tutto sesto, per i muratori operativi fu dunque il simbolo della precisione esecutiva, dell'ordine e dell'armonia?


Platone ci invita per quanto ci è possibile a farci simile a Dio e la giusta misura né è la condizione imprescindibile. Si narra che un giorno gli chiesero “che cosa fa Dio?”.”Geometrizza senza interruzione” rispose. E nel Timeo pitagorico ci indica come modello Colui che possiede in misura adeguata la scienza e ad un tempo la potenza per coagulare molte cose in unità e per scioglierle dall’unità in molte. Cercheremo dunque la giusta misura. Opereremo come Colui che perfettamente attua la misura di tutte le cose, il Grande Architetto dell’Universo. Per quel nesso metafisico ci sforzeremo noi, più piccoli ma analoghi maestri architetti di fare ordine e produrre armonia in tutte le cose che da noi dipendono, ossia nell’etica, nella politica, nelle opere tecniche ed artistiche.


A noi sono concesse le chiavi dell’ermeneutica della storia. Ne rinverremo la matrice nella lucida tolleranza di Roma, i loro stampi in epoche le cui denominazioni suonano famigliari agli Iniziati, il Rinascimento…l’Età dei Lumi…il Risorgimento…laddove il tentativo di restaurazione del legame con le strutture esoteriche del cosmo guidò la trasmutazione del mondo in campo politico e sociale.


Felice è la città dove i filosofi sono re e i re sono filosofi!” diceva sempre Platone. “Gli esoterismi, con il loro potere di agire sui piani ideologici, guidano il mondo” afferma Jean Marques-Rivière. Sui manifesti del nostro Ordine sta scritto “la Massoneria cambia le idee del mondo”. Il nostro Ordine auspica un nuovo umanesimo. Cederemo alla tentazione, mirando ai sette scalini che sempre ci stanno di fronte, di intravvedere e trepidare poi per un nuovo rinascimento, dove la forza, come le nostre tre luci, sia sempre congiunta alla sapienza e alla bellezza? Sette scalini saliamo, ma continuiamo a vederne sempre sette. Giacché ogni conquista è pietra di fondamento della successiva, e non vi è un termine alla nostra architettonica fatica. Non v’è limite alla conquista perché non v’è limite al sogno.


Sentiamo ogni tanto serpeggiare la critica ad un Rito, il nostro, poco esoterico e piuttosto politico


Sarà noto che pur essendoci interdetta ogni politica d’azione esterna come Corpo Rituale, lasciando ai suoi Adepti ampia libertà d’azione nel mondo profano, secondo la loro coscienza, sul terreno religioso, filosofico e politico, senza dar loro alcuna parola d’ordine, il lavoro svolto nei Collegi dei MMAA è tanto iniziatico quanto implicante proiezioni culturali e politiche. Diamo al termine politico il significato originario di arte di governare gli uomini al bene ed all’equilibrio interiore, origine della felicità. Dovrebbe perciò esser chiaro che per il deposito pitagoreo che custodiamo, il nostro modello riposa sulla scienza delle proporzioni e delle corrispondenze, nella consapevolezza che l’uomo e la società sono organismi la cui salute e felicità dipende dalle relazione che unisce le parti con il tutto. Né Pitagora, né Platone obliarono l’archetipo e il paradigma dell’esoterica scienza analogica, per cui la Pòlis non essendo che l’uomo stesso sviluppato, deve rappresentare un immagine dell’uomo, come l’uomo stesso rappresenta un’immagine dell’universo e l’universo un’immagine del suo Architetto. La nostra è dunque Tradizione in atto e sua proiezione e orientamento alla storia vivente, illuminata dall’esoterismo e pertinente al mito e all’esatta, matematica, misura dei rituali praticati.


A quanti per vocazione, pur guarnendo le colonne dei nostri Templi, preferiscono forme estremamente individualistiche dell’esoterismo o per disincanto considerano vana ogni azione nell’Opera al Nero del Kali-Yuga…ad essi un momento di riflessione sul simbolo che non può che essere che quello della conversione dello sguardo su sé e sul mondo. Tornino i tempi della riconciliazione con Sé, cioè con gli altri e con l’Universo, derivata da un Cosmo solidale, rigenerato dal simbolo, solo mediante esso la teofania continua e sacralizza il mondo nella nostra coscienza. Questo tempo unificatore non ha mai disertato la temporalità dell’esperienza umana.


Potremmo infatti assimilare l’Uno alla Tradizione e le successive generazioni numeriche alla trasmissione e dedurne che non c’è tradizione senza trasmissione, non c’è origine senza una direzione nello spazio e nel tempo. Ciò che si tramanda non è dato perché permanga, non è un’inerzia, una riproduzione dell’identico, ma perché esso dia nuovamente i suoi frutti. Lavorando questa materia prima, l’erede, “lavora se stesso” e arricchisce il suo legato. La tradizione non è dunque solo ritorno al passato o aristocratico isolamento, chi la riceve non è solo il geloso depositario di una fiamma sacra ma è anche il custode che la ravviva e la corrobora, l’azione dell’esoterismo non è separazione, è soprattutto ri-creazione. Guai alla fiaccola posta sotto il moggio che non illumina come dovrebbe. La tradizione come insegna l’alchimia è la materia prima da rielaborare, per la muratoria la pietra da squadrare. Scriveva Pound nei Cantos: “Costruire il Cosmo -/ Compiere il possibile /…un po’ di luce nel buio pesto /…Puoi tu penetrare nella ghianda di luce?…Un po’ di luce come un barlume / ci riconduca allo splendore”. Il tempio offre un ambiente insostibuile per far maturare sotto la sua volta stellata alcune idee e distillarle poi nel tessuto sociale. E’ anche per quanto riguarda il nostro Tempio interiore vivente dovremo sempre più affondare nelle profondità del nostro essere, all’origine e non lasciare la presa fino a che non si sia estratto il suo Uno, la sua radice vivente e vivificante. VITRIOL. Solo allora tutti i frutti che dobbiamo portare, secondo la nostra natura ed il nostro talento, si produrranno naturalmente in noi e fuori di noi, nella società e nel mondo, come avviene ai nostri alberi terrestri, come avviene nella TETRAKTYS rovesciata, poiché aderiscono alla loro radice e ne estraggono il succo. Niente la natura ama tanto come mutare le cose – ci descive il pitagorico Ovidio nelle Metamorfosi- condurne alla ribalta sempre di nuove, perciò la nostra azione è seme di un’altra e frutto della precedente. Un’espressione del Vedanta dice: “puoi contare il numero di semi in una mela, ma non puoi contare il numero di mele in un seme, perché in ogni seme esiste la promessa di migliaia di manifestazioni”. Dall’uno al quattro – è lo spostamento dal non manifesto al manifesto – la meccanica della creazione …E’ qui quel lavoro iniziatico, esoterico e “politico”... E’, per dirlo con una formula, situarsi all’origine delle proprie virtualità e potenzialità interiori, abitare l’invisibile e radicarsi nel mondo. “essere -come dice la letteratura cristiana- non di questo mondo, ma nel mondo”. Ci è di consolazione che il nuovo paradigma della fisica è quello della Tradizione. Esso reclama a tutti, anche ai profani di cambiare la visione del mondo, di non vedere più le cose come separate, ma di vedere l’universo come un campo d’intelligenza dinamico e indivisibile, in cui ogni cosa e collegata con ogni altra. Dono divino- si diceva- fu il rispetto – rispetto deriva da respicio. Nell’altro da me appunto mi rispecchio. Chi infatti, socraticamente, è riuscito a conoscersi impara per ciò stesso a relazionarsi con ciò che, erroneamente, è creduto l'altro da sé, a discernere l'Unità fondamentale nell'identità del tutto. Con questo lavoro di profondità ed equilibrio, il pensiero, attraverso la meditazione, giunge a conoscere mentalmente ogni cosa, ad appropriarsene per amarla.


Se questa è la conoscenza che ci è concessa bisognerà pur riconoscere che l’amore, il fraterno legame con tutto è la cosa più importante, l’energia, la forza motrice, il prana, l’ultima ed autentica esperienza. Occorrerà poi smettere di chiederci sempre “che ci guadagno?” e modificare il dialogo interiore, tramutando il metallo, in “cosa posso fare per l’altro?”, spostandoci dall’io al Sé, alla coscienza universale. Di cosa abbiamo bisogno? si chiede la sentinella vigile e intransigente dell’Ordine. La risposta scoveremo nelle parole, del XIII secolo,del Maestro Sufi Rumi: “ Perché non vuoi che la parte si ricongiunga al tutto, il raggio alla luce? Nel mio cuore contengo l’universo, attorno a me, il mondo mi contiene….La cosa più importante che puoi fare nella vita è diventare un amante appassionato, e se sei un amante appassionato nella vita, allora sarai un amante nella morte, sarai un amante nella tomba, sarai un amante nel giorno della rinascita, sarai un amante in paradiso e sarai un amante per sempre. Ma se non hai imparato come amare, allora non considerare la tua vita come una vita vissuta. Nel giorno della resa dei conti, la tua vita non conterà”.


E mi sembra conveniente concludere, un ultima volta, ancora con i versi del poeta Rubén Darìo, un poeta e diplomatico nicaraguense dell’Ottocento, un simbolista e…- poteva essere diversamente? - un Fratello Libero Muratore, trovati per coincidenza e che mi paiono appunto, al tempo stesso una chiave ed un compendio di quell’analogia, che come affermavano Platone e Plotino, “regge tutto”, di quella divina proporzione che tutto lega, di quella giusta armonia che tutto dovrebbe pervadere:

AMA IL TUO RITMO


Ama il tuo ritmo e ritma le tue azioni
secondo la sua legge, e insieme i versi;
tu sei un universo di universi
e, nell’anima, fonte di canzoni.
La celeste unità che presupponi
farà nascere in te mondi diversi,
e risonando i tuoi numeri spersi
pitagorizza in tue costellazioni.
Ascolta la rettorica divina
dell’uccello dell’aria, e la notturna
raggera geometrica indovina;
scaccia l’indifferenza taciturna,
perla con perla infila cristallina
dove di verità si versa l’urna.


Moreno Neri
Presidente dei Maestri Architetti
del Collegio “Bononia”
del Rito Simbolico Italiano

Belmonte Calabro, 19 maggio 2001 EV

 

 

giovedì 28 aprile 2011

Sul ritorno di Pletone: la rassegna stampa

Il ciclo diventò subito un magnifico pretesto per sfoghi di scavatissimi livori, pretenziosissime primazie, superbie e invidie turbatissime, tossici di uno smisurato Ego.
Qualcuno ha detto che gli intellettuali italiani (generone di cui non faccio parte) si dividono in due categorie: maitresses à penser e addetti ai livori, ossia quelli che cavalcano tutte le mode e quelli che disarcionati da se stessi rampognano il prossimo. 
Ci siamo già imbattuti nel furor histericus di Gabriello Milantoni nella rassegna stampa dedicata a Cleopa Malatesta in un precedente post. Come allora, ancora qui è stato lui il primo a fare una conferenza su Gemisto Pletone nel '93 e quivi a discettare di Cleope e di Mistrà. Chi è Gabriello Milantoni? Leggiamo su internet: "Uno storico dell'arte, innanzitutto, di scuola longhiana, che collabora con musei e gallerie pubbliche e private. Ma anche studioso di teatro e buon musicista. E, soprattutto, e fortunatamente per noi, un delizioso diseur, un attore consumato che sa tenere il pubblico legato a sé col filo sottile di un'ironia e di un garbo ormai - è il caso di dirlo - d'altri tempi".  Milantoni, più che altro, è delizioso nel suo antimassonismo e quindi confonde, deliziosamente, cerimonia con rito (non ha letto il Guénon), per il resto è un ottimo studioso, ma chiacchiera e scrive articoli e non produce (libri, innanzitutto), perché penso lo faccia solo a compenso. Ora vedo che di recente si è dato alle ospitate in convegni lefebvriani: anche la Vandea ha bisogno delle soubrette. Meglio. Le perpetue neo-tridentine odiano Pletone.  E così sia. 

Corriere di Rimini, domenica 17 novembre 2002, “Quel «riminese» di Pletone” di Gabriello Milantoni, p. 38



La notizia del ciclo appare anche il 19.11.2002 sul sito del Comune di Rimini.




ChiamamiCittà, dal 20 al 26 novembre 2002, a. XIV n. 432, “Per svelare i misteri di Pletone”, p. 13






Corriere di Rimini, mercoledì 21 novembre 2002, “Pletone esce dal mistero” - “Inizia Silvia Ronchey”



Corriere di Rimini, giovedì 21 novembre 2002, “«Sul ritorno di Pletone» Silvia Ronchey a Rimini” - “Bessarione torna alla Malatestiana”, p. 37



il Resto del Carlino - Cronaca di Rimini, mercoledì 20 novembre 2002, “Pletone, un ciclo sul filosofo conteso”, p. VIII



La Voce di Romagna, mercoledì 20 novembre 2002, “Rimini celebra la rivoluzione di Pletone, p. 1; “550 anni fa… moriva ‘il principe dei filosofi del suo tempo’, le sue vestigia riposano qui” - “«Fiaccola dell’umanità»” -  “Il merito-primato dell’editore riminese Walter Raffaelli” - “La sua fu un’idea «laica e sovversiva», p. 33



La Voce di Romagna, domenica 24 novembre 2002, “Pletone e Cleofe: il doppio legame tra Mistrà e Rimini”, p. 33



Corriere di Rimini, mercoledì 27 novembre 2002, “Diatribe filosofiche tra ’400 e ’500”, p. 33


La notizia della continuazione del ciclo viene data il 28.11.2002 nel sito ufficiale di informazione turistica della città di Rimini.


Corriere di Rimini, venerdì 29 novembre 2002, “Polemiche filosofiche tra Quattro e Cinquecento”, p. 39



 La Voce di Romagna, venerdì 29 novembre 2002, “Cesare Vasoli sulla «rinascita platonica», p. 41




Corriere di Rimini, giovedì 5 dicembre 2002, “Misteri pagani con Monica Centanni”, p. 33



il Resto del Carlino - Cronaca di Rimini, giovedì 5 dicembre 2002, “Filosofi e maestri da Pletone a Fellini”, p. VIII



Corriere di Rimini, venerdì 6 dicembre 2002, “Rimini ◊ Storia”, p. 37



La Voce di Romagna, venerdì 6 dicembre 2002, “I Misteri pagani custoditi dal Tempio Malatestiano”, p. 34



Corriere di Rimini, mercoledì 11 dicembre 2002, “Gemisto Pletone Conferenza alla Cineteca”, p. 38



il Resto del Carlino - Cronaca di Rimini, mercoledì 11 dicembre 2002, “Gemisto Pletone e il mito del paganesimo antico: dal Concilio di Ferrara al Tempio Malatestiano”, p. VI



il Resto del Carlino - Cronaca di Rimini, mercoledì 11 dicembre 2002, “Il ritorno di Pletone”, p. XV



Corriere di Rimini, venerdì 13 dicembre 2002, “Pletone e il mito del paganesimo antico: incontro”, p. 35



Corriere di Rimini, venerdì 13 dicembre 2002, “Dall’epoca romana a Gemisto Pletone”, p. 38






Ancora il 17.12.2002 in Arengo online, nell'archivio notizie del sito del Comune di Rimini, appare la norizia dell'ultima delle cinque conferenze in programma: "Da Zoroastro a Pletone: la prisca sapientia. Persistenza e sviluppi" di Antonio Panaino.



Corriere di Rimini, mercoledì 18 dicembre 2002, “Ultimo appuntamento con Pletone”





Corriere di Rimini, venerdì 20 dicembre 2002, “Sul ritorno di Pletone stasera ultimo atto”, p. 36



La Voce di Romagna, venerdì 20 dicembre 2002, “Da Zoroastro a Pletone”, p. 39









mercoledì 27 aprile 2011

Sul ritorno di Pletone: la realizzazione




Durante l'estate del 2002, il ciclo di conferenze destinate ad onorare il 550esimo anniversario della morte di Giorgio Gemisto Pletone si andava definendo.
Tra parentesi: noi - come d'altra parte i greci della Libera Associazione di Filosofia Plethon - tenevamo per ferma la data della morte al 1452 come a suo tempo stabilita da Martin Jugie (“La date de la mort de Gémiste Pléthon”, in Échos d’Orient 38, 1935, pp. 160-161 ), sebbene  John Monfasani [vedi George of Trebizond: a biography and a study of his rhetoric and logic, E. J. Brill, Leiden, 1976 (Columbia studies in the classical tradition 1), pp. 163-170 e “Pletho’s date of death and the burning of his Laws”, in Byzantinische Zeitschrift 98, 2, 2005, pp. 459-463], con alcune valide argomentazioni confuti questa data e, basandosi sulla testimonianza di Giorgio di Trebisonda, sostenga che il decesso di Pletone sarebbe invece avvenuto nel 1454. 

Con l’editore Walter Raffaelli e grazie alla preziosa collaborazione del direttore della Gambalunga Prof. Marcello Di Bella, si arrivava ad un programma più o meno definitivo.
Avevamo anche pensato alla presenza del Dott. Efstratios (detto Stratis) Stratigis della Libera Associazione Plethon di Mistrà e del Sindaco di Mistrà, da prevedere o come momento conclusivo del ciclo o come suo momento di presentazione e insieme rilancio dell’atto di gemellaggio tra Rimini e Mistrà.
Da un lato mi risultava che nel seguente novembre si sarebbero tenute nel Comune del Peloponneso le elezioni amministrative, dall'altro  il 12 agosto 2002 circa (ahimè, ho perso le mail nella migrazione da windows al mac) Stratis Stratitigis così rispondeva al mio invito: 
 “Dear Moreno, it was good to hear from you and I will try to come to Rimini in November and see all the friends again. Thank you for suggesting a presentation by the Mayor of Mystra and myself but I think it is yet premature. Apart from the fact that we have not yet proceeded with the formalities for the twinning for various reasons, both our respective Bishops have expressed some reservations as regards the question of the relics (or part of them) being returned to Mystra, due to the link of Plethon with paganism and modern FreeMasons in your country. And I still think that the most impressive and ceremonial actum concludentium for the twinning is the return of part of the relics.  
I am printing the "Dream of Plethon" in greek and I will suggest any corrections.
Your visit to Mystra is highly overdue!!!!
Best regards also to your wife
Stratis
.
(Caro Moreno è stato bello avere tue notizie e cercherò di venire a Rimini a novembre e vedere di nuovo tutti gli amici. Grazie per il suggerimento di una presentazione del Sindaco di Mistrà e mia ma pensiamo sia ancora prematura. A parte il fatto che non abbiamo ancora proceduto  con le formalità per il gemellaggio per varie ragioni, entrambi i nostri rispettivi Vescovi hanno espresso alcune riserve circa la questione delle reliquie (o parte di esse) da far ritornare a Mistrà, a causa dei legami di Pletone  col paganesimo e con i moderni massoni nel tuo paese. Ed io ancora penso che l'actum concludentium più fondamentale e cerimoniale per il gemellaggio è il ritorno di parte delle reliquie. 
Sto stampando il "Sogno di Pletone" in greco e suggerirò alcune correzioni. La tua visita a Mistrà è estremamente in ritardo!!!! 
I migliori saluti anche a tua moglie 
Stratis)


In breve, gli eredi di Scolario in Grecia e di Giorgio Trapezunzio in Italia vivevano e lottavano contro di noi ed il Comune di Mistrà continuava a vedere la restituzione di una “reliquia” di Giorgio Gemisto Pletone come “condicio sine qua non” del gemellaggio.


Stratis mi scriveva ancora:
"Dear Moreno,
I saw from your italian letter that you have found a portrait of Pletho and Bessarione. ...
Could you send them to me since we thought there were no pictures of them.
Thank you
Stratis"

(Caro Moreno,
ho visto dalla tua lettera italiana che hai trovato un ritratto di Pletone e Bessarione. 
Puoi spedirmeli perché credevamo che non esistessero loro ritratti.
Grazie
Stratis)

Ed ecco la mia risposta:
"Dear Stratis,

Your emails involve on my behalf a articulated deepened answer. About the paganism of Plethon and the connection with the modern Freemasonry, but particularly on the portraits of Plethon and Bessarion. I will send the slides with a letter. You will have to attend at least a week.
It’s beautiful to hear again you.
My best regards to you and a homage to Mystra.
Moreno Neri"

(Caro Stratis, le tue lettere comportano da parte mia una articolata e approfondita risposta. Circa il paganesimo di Plethon e il collegamento con la moderna Massoneria, ma particolarmente sui ritratti di Pletone e Bessarione. Spedirò le diapositive con una lettera. Dovrai attendere almeno una settimana. E’ bello risentirti.
I miei migliori saluti a te e un omaggio a Mystra.
Moreno Neri)


Il ritratto di Pletone che inviai a Stratigis sarebbe poi stato pubblicato in Praktikã DieynoÊw Sunedr€ou afiervm°nou ston PlÆyvna kai thn epoxÆ tou me thn sumplÆrvsh 550 et≈n apÒ ton yãnatÒ tou, Mustrãw, 26-29 Ioun€ou 2002 = Proceedings of international conference on Plethon and his time, Mystras, 26-29 June 2002 / GenikÆ epim°leia: L. G. Mpenãkhw, X. P. MpalÒglou, DieynÆw EpisthmonikÆ Etaire€a Plhyvnik≈n kai Buzantin≈n Melet≈n, AyÆna-Mustrãw, 2003, p. 14
Ecco la pagina:






Tornando al ciclo di conferenze, ritroviamo lo stesso ritratto nel depliant che pubblicizzava le  conferenze







Il programma definitivo era così il seguente




SUL RITORNO DI PLETONE
(un filosofo a Rimini)

venerdì 22 novembre 2002
GIORGIO GEMISTO PLETONE E I MALATESTA
SILVIA RONCHEY

venerdì 29 novembre 2002
RINASCITA PLATONICA E POLEMICHE ANTIARISTOTELICHE TRA QUATTROCENTO E CINQUECENTO
CESARE VASOLI

venerdì 6 dicembre 2002
MISTERI PAGANI NEL TEMPIO MALATESTIANO
MONICA CENTANNI

venerdì 13 dicembre 2002
GEMISTO PLETONE E IL MITO DEL PAGANESIMO ANTICO : DAL CONCILIO DI FERRARA AL TEMPIO MALATESTIANO DI RIMINI
MARCO BERTOZZI

venerdì 20 dicembre 2002
DA ZOROASTRO A PLETONE: LA PRISCA SAPIENTIA. PERSISTENZA E SVILUPPI
ANTONIO PANAINO


Silvia Ronchey

Silvia Ronchey insegna Storia Bizantina all'Università di Siena. Collabora alle pagine culturali della Stampa. Scrive su Tuttolibri, dove tiene una rubrica, “Cl@ssici”, sui classici in libreria e in Internet. E' autrice di programmi culturali per la Rai. Pubblica libri e saggi sulla Decadenza romana e bizantina, essendo tuttavia convinta che i veri decadenti (o decaduti) siamo noi contemporanei.

Bibliografia

Ha pubblicato la vita del Buddha bizantino (Vita bizantina di Barlaam e Ioasaf, Rusconi 1980), la Cronografia di Michele Psello (Imperatori di Bisanzio, Mondadori/Fondazione Valla 1984 ) e gli Acta Martyrum greci (Atti e passioni dei martiri, Mondadori/Fondazione Valla 1987). Ha scritto saggi su Eustazio di Tessalonica, su Giovanni Damasceno e l'iconoclasmo, su San Policarpo, sulla filosofa Ipazia, su Bessarione. Con Alexander Kazhdan ha scritto L'aristocrazia bizantina (Sellerio 1999, nuova edizione con postfazione di Luciano Canfora) e con James Hillman ha pubblicato L'anima del mondo (Rizzoli 1999) e Il piacere di pensare (Rizzoli 2001). Nell'aprile 2002 ha pubblicato, per Einaudi, Lo Stato bizantino con cui ha inteso affrancare la connotazione spregiativa del "bizantinismo" dalla mistificazione e dal luogo comune, "proponendosi di far emergere il senso del millenario esperimento di Bisanzio nella storia dell'idea di Stato" e in cui trova spazio "l'idea laica e sovversiva" di Giorgio Gemisto Pletone.
La sua più recente produzione scientifica (Bisanzio veramente “volle cadere”? Realismo politico e avventura storica da Alessio I Comneno al Mediterraneo di Braudel, “Quaderni di Storia” 52 [luglio/dicembre 2000], pp. 137-158; La Realpolitik bizantina rispetto all'Occidente dall'XI al XV secolo, in Purificazione della memoria. Convegno storico [Arezzo, Palazzo Vescovile, 4-11-18 marzo 2000], Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro / Istituto di Scienze Religiose, Arezzo 2000, pp. 173-186; e soprattutto Malatesta/Paleologhi. Un'alleanza dinastica per rifondare Bisanzio nel quindicesimo secolo, “Byzantinische Zeitschrift” 93 [2000], fasc. II) si è rivolta al XV secolo, allo studio dell'influsso degli ultimi emigrés bizantini in Italia sulla cultura e sull'arte del primo Rinascimento e a quel piano di "salvataggio occidentale" di Bisanzio, che dietro influsso di Bessarione coinvolse il papato e le signorie italiane negli anni immediatamente successivi la caduta di Costantinopoli.



Cesare Vasoli

Cesare Vasoli, nato a Firenze e già professore ordinario fuori ruolo di Storia della Filosofia del Rinascimento all'Università di Firenze, è Socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Docteur h.c. dell'Université de Paris-Sorbonne e del Centre d'Études Supérieures de la Renaissance (Université de Tours). Libero docente di Storia della Filosofia (1956) e incaricato dell'insegnamento di Storia della Filosofia Medievale nell'Università di Firenze (1956-62); professore straordinario e poi ordinario della stessa disciplina nelle Università di Cagliari (1962-66), Bari (1966-68) e Genova (1968-70); professore ordinario di Filosofia Morale (1970-75), di Storia della Filosofia (1975-80) e di Storia della Filosofia del Rinascimento (1980-94) e quindi professore f.r. (1994-99).

Bibliografia

Tra le sue opere principali: Guglielmo d'Occam, Firenze 1953; La filosofia medievale, Milano 1961, 6° ed. 1982; Due saggi per Alano di Lilla, Roma 1961; Tra cultura e ideologia, Milano 1961; La dialettica e la retorica dell'Umanesimo. "Invenzione e "Metodo" nella cultura del XV e XVI secolo, Milano 1968; Studi sulla cultura del Rinascimento, Manduria 1968; Umanesimo e Rinascimento, Palermo 1969, 2° ed. 1976; Il pensiero medievale. Orientamenti bibliografici, Bari 1971; Profezia e ragione. Studi sulla cultura del Cinquecento e del Seicento, Napoli 1974; I miti e gli astri, Napoli 1977; L'enciclopedismo del Seicento, Napoli 1978; La cultura delle corti, Bologna 1980; Immagini umanistiche, Napoli 1983; Introduzione e Commento al "Convivio", in Dante Alighieri, Opere Minori, Milano-Napoli 1988, 2° ed. 1995; Filosofia e religione nella cultura del Rinascimento, Napoli 1988; Francesco Patrizi da Cherso, Roma 1989; Tra "maestri", umanisti e teologhi, Firenze 1991; Otto saggi per Dante, Firenze 1995; "Civitas mundi". Studi sulla cultura del Cinquecento, Roma 1996; "Quasi sit Deus". Studi su Marsilio Ficino, Lecce 1999. Ha tradotto e commentato il Defensor Pacis (Torino 1960, 2° ed. 1975) e il Defensor Minor (Napoli 1975), di Marsilio da Padova.



Monica Centanni

Monica Centanni, dottore di ricerca in Filologia greca e latina, è docente in Conservazione dei Beni artistici presso il dipartimento di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università Ca' Foscari di Venezia. Grecista, si occupa in particolar modo di drammaturgia antica e di storia della tradizione classica.
È inoltre coordinatrice del sito www.engramma.org: un laboratorio di ricerca e di applicazione del metodo di Warburg intitolato Engramma la tradizione classica nella Memoria occidentale, Rivista virtuale sulla storia della tradizione classica nell'arte europea promossa da Fondazione Querini Stampalia e Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha tenuto conferenze nell’edizione ‘96 del ciclo “Cosa fanno oggi i filosofi?” a Cattolica e nello stesso anno a Riccione al ciclo “Vicino Oriente e Mediterraneo”.

Bibliografia

Ha curato I sette contro Tebe di Eschilo (Marsilio, Venezia, 1995). Tra le sue più recenti pubblicazioni Metro, ritmo e parola nella tragedia greca (Argo, Lecce ,1996), Atene assoluta : Crizia dalla tragedia alla storia (Esedra, Padova, 1997). Co-autrice di Il gesto nel rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad oggi (Ponte alle Grazie, 1995) e di Gli occhi di Alessandro: Potere sovrano e sacralítà del corpo da Alessandro Magno a Ceausescu (Ponte alle Grazie, 1990), Lo straniero interno (Ponte alle Grazie, 1993) Atene assoluta (Padova, 1997). Ha inoltre curato la prima traduzione italiana del Romanzo di Alessandro, Torino 1991. Nell’ambito della tradizione classica ha pubblicato: Velare, svelare: dai misteri pagani a Le età della donna di Hans Baldung Grien, nel volume Il gesto, Ponte alle Grazie 1996; Soggetti classici nelle cantate di Benedetto Marcello, Lugano 1997; Guerra e morte fraterna: il mito storico romano nelle tele di Giovanbattista Tiepolo per i Dolfin, in Giambattista Tiepolo nel III centenario della nascita a cura di L. Puppi, Venezia 1998; Icone delle Storie dell’Antico testamento di Hans Holbein il giovane, in La Bibbia perduta, Firenze 1998; Nostos, Memoria dell’antico in Dimitrio Pikionis, in Dimitrio Pikionis (a cura di A. Ferlenga), Milano 1998; "..delirante, disprezzato, deluso, acceso amante": variazione su temi classici in alcune cantate inedite di Antonio Caldara, in Musica e Storia VII, 2, 1999. Ha in corso di pubblicazione il saggio La cultura greca nella tradizione occidentale: dalla tarda antichità alla riscoperta umanistica in I Greci. Storia cultura arte società, a cura di S. Settis, Torino; e il volume sulla tradizione classica nel Rinascimento Fantasmi dell’antico.


MARCO BERTOZZI


Marco Bertozzi è professore associato di Filosofia della Storia all’Università di Ferrara. Si è occupato, nel corso delle sue ricerche, della concezione della storia in Adam Smith (Filosofia ed economia in Adam Smith; I quattro stadi della storia della civiltà, Ferrara, 1977) e del rapporto tra storia, filosofia e teologia nel pensiero di Thomas Hobbes (L’enigma del Leviatano, Ferrara, 1983). Si è poi interessato di filosofia del Rinascimento, svolgendo specifiche ricerche sulla tradizione astrologica, intesa come ermeneutica della storia (La tirannia degli astri, Bologna, 1985; Il fatale ritmo della storia, in “I Castelli di Yale”, 1, 1996). Attualmente sta completando alcuni studi su storia universale e geografia (da Hegel alla geopolitica) e sulle fonti filosofiche della Melencolia I di Dürer. Nel 1998 ha curato a Ferrara, promosso dall’Istituto di Studi Rinascimentali, un convegno su Aby Warburg, dal titolo Aby Warburg e le metamorfosi degli antichi dei, tenutosi a settembre.
 



ANTONIO PANAINO

Antonio Panaino, Docente di Filologia iranica, Direttore del Dipartimento Storie e Metodi per la conservazione dei Beni Culturali della Scuola di specializzazione in Archeologia dell’Università di Bologna (sede di Ravenna). Coordinatore del Progetto Storia delle Scienze antiche e orientali dell’Is.I.A.O (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente) e dirige la Collana di Studi Orientali delle edizioni Mimesis di Milano. E’ inventore del nome e del progetto MELLAMU (la divina radianza, l’aura nell’antico accadico-sumerico) sull’eredità intellettuale dell’Assiria e di Babilonia in Oriente e in Occidente, il cui primo congresso internazionale si è tenuto nell’ottobre 2001.

Bibliografia

È autore di Tistrya e la stagione delle piogge(Milano, 1986), Tessere il cielo. Considerazioni sulle Tavole astronomiche, gli Oroscopi e la Dottrina dei Legamenti tra Induismo, Zoroastrismo, Manicheismo e Mandeismo (Roma, 1998), del romanzo Il tacco rosso (Mimesis, Milano, 1997), de La novella degli scacchi e della tavola reale; I magi evangelici : storia e simbologia tra Oriente e Occidente (Longo, Ravenna, 2004) e curatore di Vendidad, legge di abiura di tutti i demoni dell’Avesta zoroastriano (Mimesis, Milano). Co-curatore degli Scritti sulla Storia dell'Astronomia antica di Giovanni Schiaparelli (Mimesis, Milano, 1997). Co-autore di L’astrologia e la sua influenza nella filosofia, nella letteratura e nell'arte dall’età classica al rinascimento (Nuovi Orizzonti, Milano). Curatore e co-autore di Sulla soglia del sacro : Esoterismo ed iniziazione nelle grandi religioni e nella tradizione massonica (Mimesis, Milano, 2002).






Vedi anche, infine, il sintetico programma nel sito del Comune di Rimini.