martedì 17 luglio 2012

Silvia Ronchey: Omero, solo tu ci salverai

La memoria dei classici Di secolo in secolo hanno sconfitto la tentazione della facilità, la banalità, la dittatura delle mode, la transitorietà di ogni cosa


Omero, solo tu ci salverai

SILVIA RONCHEY 


Alla fine di aprile del 1944, quando Patrick Leigh Fermor si svegliò fra le rocce di Creta, mentre il sole spuntava dietro la cresta dell’Ida, insieme al generale nazista che aveva rapito, accadde qualcosa di strano. Dopo aver fumato in silenzio, il generale, gli occhi azzurri fissi sulla vetta ancora innevata, cominciò a recitare: «Vides ut alta stet nive candidum / Soracte…». E Fermor proseguì: «… nec iam sustineat onus / silvae laborantes, geluque / flumina constiterint acuto». 

E così continuarono, per tutte le cinque strofe alcaiche che mancavano alla fine, racconta Fermor nel suo secondo libro di memorie (Tempo di regali, Adelphi, pp. 356, €18): «La guerra, per un attimo, era sembrata lontanissima. Molto tempo prima, avevamo bevuto alla stessa sorgente».
L’antico sospende il tempo, l’eterno sconfigge la storia. Prendiamo l’Iliade, l’abbiamo letta tutti, l’hanno letta tutti. Alessandro - il Conquistatore, ma anche l’allievo di Aristotele - durante le sue spedizioni militari teneva l’Iliade sotto il cuscino della tenda in cui dormiva. Mehmet II, il giovane sultano che conquistò Costantinopoli, durante l’assedio si faceva leggere brani dell’Iliade. Napoleone leggeva l’Iliade ad alta voce, «fermandosi spesso», diceva, «per ammirare con comodo».
Oggi, nonostante la molto pubblicizzata presenza dell’epitome di Alessandro Baricco (Feltrinelli, pp. 163, €5,60), anche gli studenti più pigri preferiscono leggere l’Iliade com’è, senza sconti né attualizzazioni, nelle filologiche traduzioni di Giovanni Cerri (Bur, pp. 586, €13) o di Guido Paduano (Einaudi, pp. 1570, €48). Perché un classico antico, come ha spiegato Jean Giono, è un «libro ad alta densità di lettura».
Giono da studente era povero, non poteva permettersi i libri alla moda, dalla copertina sfavillante. Però, racconta, poteva permettersi Omero, perché Omero era economico, perché Omero aveva un'alta densità. In seguito avrebbe scritto non un'epitome ma un magnifico, ironico pamphlet (Nascita dell'Odissea, Guanda, pp. 156, €7,50), in cui mostra di sapere bene che il classico, inossidabile e inscalfibile, non riducibile, irriducibile, sconfigge quelle che Braudel ha chiamato le «increspature di superficie» della storia, le sue dispute ideologiche e le sue mode demagogiche. Sbaraglia il, presente più contingente, regalandoci l'eternità di un presente assoluto, depurato da ogni transitorietà. Come scriveva Marguerite Yourcenar, «amiamo il passato perché è il presente sopravvissuto nella memoria dell’umanità». Come scriveva Walter Benjamin, gli antichi non erano antichi quando scrivevano, poiché usavano la lingua del presente. Un classico è tale e resiste lungo i secoli perché il suo linguaggio - formale, ma anche concettuale - rimane sempre lingua del presente. Perché un miracolo ha fatto sì che il suo autore superasse i vezzi e i limiti della sua epoca, la contingenza e storicità del logos - del discorso, ma anche del pensiero - rendendolo universale e tale da eludere il tempo.


L’essenza dei classici antichi, secondo una definizione di Massimo Cacciari (in Di fronte ai classici, a cura di Ivano Dionigi, Bur, pp. 299, €8), non è cronologica ma topologica: i classici «non sono epoche ma luoghi del pensiero». Un classico non serve il presente, ma crea un ponte tra passato e futuro. Classico, ha scritto Cacciari, non è qualcosa che rimanda al passato, è qualcosa che resiste al presente. I veri classici non fuggono, sfidano e sono sempre pericolosi. Un classico è sempre eversivo, sempre trasgressivo, sempre anticonformista. Leggere i classici, come diceva Leopardi, è un modo di «gettare i morti in faccia ai vivi». Ma è anche «contraddire la tirannia del momento». 
Non ha quindi senso chiederci se i classici antichi abbiano un futuro. Per definizione, ci aiutano a scavalcare il presente, le sue effimere ideologie, i suoi dibattiti, gli schemi stessi del nostro pensare. E in questo senso ci avvicinano, più ancora che al passato - a noi in effetti sempre inconoscibile -, al futuro.
Un classico, per usare un’espressione di Truman Capote, è una preghiera esaudita. Ed è perciò che questi e gli altri antichi libri che chiamiamo classici hanno resistito nei secoli, sono stati trasmessi di generazione in generazione, hanno sconfitto le imitazioni, le riduzioni, la tentazione della facilità, la competizione della banalità, la dittatura delle mode, la transitorietà di ogni cosa umana. Perché sono rimedi sperimentati, ricostituenti concentrati e universali, preghiere laiche e interconfessionali. E perché sono l’unica dipendenza non nociva fra tutte quelle escogitate nei millenni per alleviare i nostri dolori. 


Ilias picta ambrosiana, Biblioteca Ambrosiana, Milano.
Miniatura di un codice membranaceo del VI secolo dove
sono rappresentati i principali eroi dell'Iliade



1 commento:

  1. '''L'ignoranza è la prima luce, che non è altro che tenebra visibile. È l'inizio, perché vedere la tenebra è possedere la sua luce. È la fine, perché significa sapere che si è nati ciechi. Così, l'animale diventa uomo per l'ignoranza che in lui nasce. Ere si accumulano su ere e tempi inseguono tempi, e non resta che percorrere la circonferenza di un cerchio che ha la verità nel suo punto centrale.'''

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