sabato 20 agosto 2016

UN DIBATTITO FRANCO? CONTRO LE FALLACIE DEL FRONTE PROIBIZIONISTA


UN DIBATTITO FRANCO?
Contro le fallacie del fronte proibizionista

A questo illuminismo non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione, in tutti i campi. Ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! L’ufficiale dice: non ragionate, fate invece esercitazioni militari! L’intendente di finanza: non ragionate, pagate! Il prete: non ragionate, credete!
(Immanuel Kant, Risposta alla domanda:
che cos’è l’Illuminismo, 1783)


Avevo promesso di offrire qualche esempio pratico di “fallacie logiche” per mostrare quanto esse siano presenti in quello che, nel nostro disastrato Paese, continua ad essere pomposamente chiamato dibattito politico. Diciamo subito (per sintetizzare in modo efficace ciò che ho già lungamente illustrato) che le fallacie logiche equivalgono, in un ragionamento, a quelli che sono i falli in una partita di calcio
Ho scelto la notizia diramata dall’Agenzia DIRE sulla conferenza stampa delle comunità terapeutiche avvenuta negli ultimi giorni di luglio. La si può leggere al seguente link: http://www.dire.it/26-07-2016/67580-cannabis-asociazioni-del-no-con-la-legalizzazione-1-milione-di-zombie/http://www.dire.it/26-07-2016/67580-cannabis-asociazioni-del-no-con-la-legalizzazione-1-milione-di-zombie/
L’articolo a firma di Antonio Bravetti, giornalista professionista, riporta diverse dichiarazioni virgolettate: quindi è un po’ difficile che abbia letto male. 
La conferenza indetta contro la proposta lanciata da un intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati è un bell’esempio di un concentrato di combinazioni di fallacie diverse. Normale: i cattivi argomentatori di solito ne usano molte insieme.
Per quanto le comunità di recupero facciano un ottimo lavoro, del tutto stimabile, sorprende quanto realmente dichiarato dai loro rappresentanti che inanella una serie di “fallacie logiche”, ossia modi di argomentare falsi, fuori tema, irrilevanti e non validi. Trattandosi di addetti ai lavori e pertanto non privi di nozioni di psicologia, c’è di che dolersi del fatto che quello che hanno detto in questa occasione non sia per nulla all’altezza di ciò che fanno quotidianamente e in modo benemerito.
Vediamo una per una le fallacie argomentative presenti nelle loro dichiarazioni riportate in corsivo. Essendo studiate fin dall’Antichità come ho in precedenza spiegato, quasi tutte hanno conservato il vecchio nome latino.

 “Liberalizzate le canne e avremo un milione di giovani zombie, incapaci di distinguere i contorni della realtà, con i tempi di reazione alterati, con la percezione distorta della realtà e degli affetti”.

Questa fallacia è nota con la locuzione latina argumentum ad consequentiam. Consiste nell’utilizzare uno schema argomentativo (causale) inadeguato che conduce a rigettare un punto di vista descrittivo in ragione delle sue conseguenze indesiderabili.
Il “punto di vista descrittivo”, evidentemente manipolatorio, è dove si parla di “liberalizzazione” e non di “legalizzazione” di una sostanza che si trova in ogni dove e viene consumata, più o meno abitualmente, da almeno quattro milioni di persone nel nostro Paese. In buona sostanza il mercato criminale di massa, illegale, non è mai stato stoppato e pertanto il milione di “giovani zombi” paventato da Meluzzi circola già da decenni nel nostro Paese. Sarebbe dunque il caso di essere risparmiati dalle visioni alla Romero e di restare a contatto con la realtà.


L’intento è quello quindi di dissuadere da una seria analisi: invece di presentare ragioni contrarie a una determinata azione, le premesse come le conseguenze offrono un pretesto per non discuterne affatto ed evitare di affrontare i punti critici della questione.
Il fulcro della questione infatti sarebbe, in questo caso di tipo quantitativo, discutere le conseguenze della legalizzazione che può avere logicamente solo tre effetti: il numero dei consumatori diminuirà o aumenterà o resterà stabile.
Poiché ogni parte di questo ragionamento (se A allora B) non è garantito da nulla e abbiamo dimostrato l’invalidità della premessa A e anche della conseguenza B sotto il profilo quantitativo concentriamoci sugli aspetti qualitativi-descrittivi. Ci troviamo di fronte a un’altra fallacia di pertinenza chiamata “della brutta china” (o “fallacia della china scivolosa” o in altri modi similari quali, ad esempio, “del piano inclinato”, “della china pericolosa”,del pendio scivoloso” che traducono l’espressione inglese slippery slope argument). È quella in cui si trae una conseguenza presentata come inevitabile, inarrestabile e disastrosa ma, in realtà, del tutto arbitraria: le frasi chiave potrebbero essere “gli dai un dito si prendono un braccio” oppure “di questo passo dove andremo a finire”. Possono esprimere saggezza e buon senso popolare, ma anche al tempo stesso un rifiuto immotivato ad articolare razionalmente le proprie scelte morali. Ci si basa infatti su una predizione che deve essere supportata dai fatti o su evidenze empiriche con significative probabilità per essere considerata rilevante.
In questo modo si giunge a una conclusione finale inaccettabile con la quale si intende rigettare come altrettanto irricevibile la tesi di partenza. Si tratta di uno strumento retorico, molto utilizzato dai politici conservatori e dai moralisti a buon mercato, inteso a creare falsi allarmi sociali ogni qualvolta si tratta di polemizzare con qualche innovazione da essi ritenuta inaccettabile. È stato molto utilizzato in occasione dell’introduzione del divorzio e dell’aborto ed è tuttora utilizzato quando si parla, per esempio, di eutanasia o di sperimentazione sulle cellule staminali e fecondazione assistita (in quest’ultimo caso, invece degli zombi si evoca Frankenstein). L’argomento qui utilizzato somiglia infatti a quello contro l’eutanasia quando si afferma che, se venisse introdotta, i medici potrebbero uccidere chiunque e in particolare disabili, invalidi e anziani, che i familiari sarebbero spinti a sbarazzarsi dei congiunti vecchi e ammalati e che gli infermi sarebbero spinti a chiedere la morte per non spendere in medicine e cure: se A allora B e poi C, fino a giungere alla “china scivolosa” dei campi di sterminio; assomiglia ancora a quello delle staminali e della fecondazione assistita che porterebbero a forme di clonazione riproduttiva per ragioni eugenetiche non diverse da quelle sognate da Hitler. Ovviamente laddove l’eutanasia è permessa o dove la cannabis è legalizzata non accade nulla di quanto si paventa con una buona dose di determinismo (del futuro) catastrofico e orribile. Ma ai cattivi politici fa comodo che la gente lo pensi. Insomma, una buona fallacia per questioni etiche e bioetiche con accuse infamanti che sarebbe bene smascherare decisamente e sulle quali non perdere tempo.
E comunque questa fallacia è particolarmente “squisita” sotto il profilo dell’errore argomentativo. Infatti non è solo una “fallacia di pertinenza o di rilevanza” (sono dette così perché manca un nesso logico tra la premessa e la conclusione che si intende sostenere, sono cioè “irrilevanti”). L’argomento della china scivolosa implica quasi sempre anche un altro tipo di fallacia, quella che fa appello alle emozioni e ai sentimenti. Abbiamo qui infatti quello che viene definito argumentum ad metum o argumentum in terrorem, l’appello alla paura, una variante dell’argomento ad consequentiam, al quale spesso si sovrappone.
Consiste nell’evocare conseguenze terrificanti o comunque negative per far accettare all’interlocutore la propria opinione o per influenzare il suo comportamento nella direzione sostenuta, attraverso la paura e il pregiudizio. Fa appello alle parti più irrazionali delle persone e circonda di un alone di paura molte delle discussioni popolari sulle più varie questioni. È dunque un ottimo strumento di persuasione usato molto spesso in politica per diffondere allarme sociale. Il problema connesso all’impiego di questo argomento è che scatenare la paura induce i destinatari dell’appello a saltare istintivamente alle conclusioni invece di guardare realisticamente ai fattori coinvolti in una decisione: la paura, offuscando la lucidità mentale, annebbia il comportamento razionale e il calcolo delle probabilità. Proprio per questo il suo impiego può implicare oltre a riflessioni logico-argomentative anche una valutazione morale (e, talvolta, addirittura legale se concorre in reati come la truffa) data la sua finalità di compromettere la comprensione di un problema. Occorre, di nuovo, opporsi a questo genere di appelli in quanto, con intenti se non truffaldini certamente manipolatori, spostano l’attenzione dagli argomenti. Anche quando l’appello alla paura fosse legittimo, è ragionevole bilanciarlo con reali prove o serie ragioni che mostrino chiaramente quanto asserito.


“La cannabis è dannosa e la legalizzazione non funziona: laddove è stata legalizzata la prostituzione c’è stato un aumento della domanda che non ha ridotto il mercato nero. Abbiamo visto che anche i terroristi di queste ultime settimane erano sotto effetto di stupefacenti”.

Eccezionale! Qui abbiamo una bella sfumatura del famoso argumentum ad hominem. Non si discutono le argomentazioni di chi propone la legalizzazione, ma si associa indebitamente il consumo della cannabis prima alla prostituzione e poi al terrorismo. L’irrilevanza di questi argomenti è facilmente dimostrabile: è altamente probabile che “i terroristi di queste ultime settimane” fossero lettori del Corano, bisogna dunque proibire questo libro? Chi avanza argomentazioni di questo genere, cerca di ottenere il consenso sulla propria posizione screditando la proposta rappresentandola innanzitutto come inutile e immorale e poi pericolosa per la nostra incolumità (associare il consumo della cannabis al terrorismo – lo dice la parola stessa – è di nuovo un argumentum in terrorem). Anche in questo caso, anziché criticare e confutare una tesi su di un piano logico-razionale, si attacca chi l’ha proposta attribuendogli inesistenti “colpe per associazione” con una forte carica emotiva e retorica. Si tratta di un vecchio arnese retorico, molto ben indagato per sviare dalla sostanza dell’argomento: una tattica oratoria efficacemente e ironicamente chiamata reductio ad Hitlerum. Con questa argomentazione fallace può essere considerato non etico, o comunque condannabile o deprecabile, dipingere, amare i cani o essere vegetariani, tutte attività e inclinazioni in cui era coinvolto il dittatore nazista.
Risulta lampante che argomentazioni di questo tipo sono un disperato tentativo di sostenere la propria posizione in mancanza di argomenti validi. Tuttavia se si riflette bene ci si accorge, ancora una volta, che chi gioca questa carta non ha come reale destinatario di questa fallacia la controparte della discussione, ma una terza parte, l’uditorio o i lettori (a nessuno dei quali piace essere associato ai clienti delle prostitute o ai terroristi). L’intento è quello di demonizzare gli avversari associandoli con il male e di far così deragliare qualsiasi corretta discussione.



“Con il disastro in cui versa l’Italia, con le minacce che incombono sull’Europa, il flagello dell’immigrazione incontrollata, l’assedio alla cultura cristiana, è possibile che la politica senta come grande emergenza la legalizzazione delle canne? Se un extraterrestre si affacciasse ora sulla Terra resterebbe inorridito. Credo che serva un rigurgito di saggezza contro questa deriva folle”.

E i due marò? Ce li vogliamo dimenticare?
Qui sopra abbiamo l’esempio di una delle più note fallacie: l’ignoratio elenchi (la sua traduzione approssimativa è “ignorare la questione”), forse la più nota mossa scorretta nel gioco dell’argomentazione, la più grave violazione delle sue regole: proporre questioni senza alcun rapporto col tema della discussione. Questa tecnica nasconde bene il mancato utilizzo del modo adeguato di argomentare che consiste invece nel citare dei fatti concreti che dimostrino il torto della tesi avversaria. L’importante è andare fuori tema ed è perfetta per la distrazione di massa. Si ignora bellamente la questione in argomento ed è abitudine per chi se ne avvale di accompagnare la mancanza di confutazione della tesi con una bella manciata di sdegno e di insulti quanto basta, senza che i giudizi su altre questioni non pertinenti (“il disastro in cui versa l’Italia, con le minacce che incombono sull’Europa, il flagello dell’immigrazione incontrollata, l’assedio alla cultura cristiana”) siano supportati dalla benché minima dimostrazione, pur potendo in sé anche essere validi. Nel caso qui esaminato (ma valido per tutte le fallacie di ignoratio elenchi) si giunge a una conclusione irrilevante per l’argomento in corso: in breve le priorità sono altre (concetto ribadito da uno dei due ineffabili ministri presenti alla conferenza). Infatti, oggi si preferisce definire questa fallacia di rilevanza con un neologismo recente: “benaltrismo”. Da tempo invece, nei Paesi di lingua inglese, questo tipo di fallacia volta a confondere e distrarre è chiamata red herring (aringa rossa), perché l’aringa affumicata veniva utilizzata per distogliere dalla traccia i cani dei cacciatori concorrenti sviandoli su false piste.
Nel contesto politico è diffusissima e spesso usata in modo deliberato, è una manovra diversiva per far ignorare e far tralasciare l’argomento, si introduce un disordine concettuale che mescola altre questioni non pertinenti e non correlate all’argomento in oggetto con la funzione di distrarre da esso. Ancora una volta si fa leva su argomenti retorici, populisti e qualunquisti, generici e fondati su luoghi comuni per evitare l’obiettivo di una discussione razionale sul tema in argomento.

“Ci pare schizofrenico che da una parte ci sia la legge sull’omicidio stradale e dall’altra si voglia legalizzare la cannabis”.

Qui abbiamo una fallacia strutturale: la falsa analogia. In un’analogia, due elementi sono presentati come simili per il fatto di avere in comune una qualche proprietà. Ma un’analogia non può avere estensione illimitata e, soprattutto, non può fondarsi sulla condivisione di una sola proprietà. Infatti le analogie in sé non sono né vere né false, presentano tra esse semplicemente diversi gradi, che vanno dalle strette somiglianze alle estreme differenze. Nel caso contrario si parlerebbe d’identità o di diversità.
Nel caso in esame la legge sull’omicidio stradale e la proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis hanno in comune l’elemento che in entrambe si parla di sostanze stupefacenti o psicotrope, ma hanno fini e obiettivi diversi. Limitandoci all’elemento comune, come per l’alcol la legalizzazione della cannabis non comporta l’attenuazione delle norme e delle pene previste dal delitto di omicidio stradale, e neppure delle sanzioni previste dal Codice della strada per la guida in stato di alterazione psico-fisica. Perciò tra omicidio stradale e legalizzazione della cannabis non esiste alcuna proprietà significativa in comune come evidenziata nell’argomentazione. In questo caso si dice che è basata su un’analogia troppo debole o difettosa o impropria per poter sostenere il fine prefissato che, qui, è un giudizio negativo sulla legalizzazione.
Le analogie deboli sono quasi sempre un’alternativa retorica alla mancanza di altre prove o evidenze e andrebbero sempre evitate in una corretta discussione politica. In una falsa analogia non è necessario concludere il ragionamento, anzi a fini persuasivi è più utile non farlo. Infatti, ciò che c’è di forte, per così dire, in questo argomento è che si insinua e si suggerisce che con la legalizzazione della cannabis si avrà un aumento degli omicidi stradali: un ennesimo argumentum in terrorem sopra esaminato. La scorretta enfasi posta con la messa in rapporto alla legge sull’omicidio stradale induce chi legge a questo errore: anche questa è un’altra fallacia di ambiguità chiamata “fallacia di enfasi”.
A proposito, dimenticavo … c’è una falsa analogia anche nella dichiarazione sopra riportata dove si equiparano gli effetti della legalizzazione della prostituzione con quelli della legalizzazione della cannabis. Chiedetevi qual è l’elemento in comune per chi ha posto l’analogia. Forse perché si tratta di rendere leciti dei piaceri voluttuari, ovvero, per un moralista, dei “peccati”?


“Il 99% di persone che abbiamo avuto e abbiamo oggi in trattamento [nella comunità di San Patrignano, ndr] hanno avuto il primo contatto con la cannabis. Purtroppo tra i giovani si sta diffondendo l’idea che la cannabis non sia dannosa, il primo danno di questo dibattito è già fatto”.

È da circa trent’anni che sento questo argomento: è un mantra di San Patrignano. Di tutte le argomentazioni fallaci fin qui esaminate a prima vista potrebbe sembrare la più seria perché finalmente, in qualche maniera, si affronta l’argomento. Purtroppo si tratta di un “paralogismo”, ossia un sillogismo, un ragionamento concatenato fallace.
Un sillogismo perfetto funziona così: A implica B (premessa maggiore), B è vero (premessa minore), dunque A è vero. Il classico esempio è: (premessa maggiore) tutti gli uomini sono mortali,  (premessa minore) tutti i greci sono uomini; (conclusione) dunque tutti i greci sono mortali.
Accade purtroppo che se anche le due premesse sono vere, la conclusione non lo è necessariamente. In un paralogismo si dice che tale conclusione è un non sequitur (di nuovo un espressione latina che significa “non ne consegue”).
Nel caso in esame l’affermazione precedente assumerebbe questa forma: il 99% dei tossicodipendenti ha avuto il primo contatto con la cannabis (premessa maggiore); le persone consumano la cannabis ritenendo che non sia dannosa (premessa minore); quindi il 99% delle persone che consumano cannabis diventeranno tossicodipendenti (conseguenza fallace). A onor del vero nella dichiarazione originale (anche qui come già nel caso esaminato della “falsa analogia”) la conseguenza è utilmente nascosta ma è altrettanto subdolamente inserita in quanto intenzionalmente implicita.
Nella figura i due insiemi rappresentano la quantità di consumatori di marijuana (ellisse più grande) e di eroinomani (cerchio più piccolo). La maggioranza dei tossicodipendenti ha consumato anche marijuana, ma, vedendo il grafico, non si può concluderne che i consumatori di cannabis diventeranno in maggioranza (anzi al 99%) eroinomani.


Nel complesso siamo di fronte a un mancato argomentare che pensiamo di aver esplicitato per quanto possibile. Benché la questione della legalizzazione della cannabis possa essere per molti controversa, il modo in cui è stata affrontata non può che generare indignazione. È stato ignorato il modo corretto di ragionare che caratterizza una buona discussione e infranta ogni regola di buona condotta nell’argomentazione. Si resta perciò basiti o meglio stupefatti (per restare in tema) nel leggere, alla fine dell’articolo oggetto della nostra indagine, che la ministra Lorenzin ha osservato: “Spero che questa sia l’occasione per aprire un dibattito aperto e franco…”, seguita dal collega il ministro Costa che ha auspicato: “Credo che non ci debbano essere forzature parlamentari, che ci debba essere un dibattito sereno”. Chi dunque desidera la dissoluzione di qualsiasi corretto confronto politico non può che augurarsi che l’Italia sia governata da ministri simili.
Per concludere, sempre che abbiate ancora la testa tutta intera dopo aver letto questo lungo articolo, occorre stare molto attenti al significato e al senso dei discorsi. Conoscere le fallacie di ragionamento aumenta la probabilità di smascherarle ed evitarle. Ma soprattutto permette di comprendere i motivi per cui un argomento è debole oppure no, valido o no, razionale oppure no
Allenatevi a riconoscerle.
E diffidate dei politicanti e dei loro gregari che ne fanno uso.



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