lunedì 11 aprile 2011

CONVEGNO SUL TEMPIO MALATESTIANO. Rimini – 13 ottobre 2001. Parte 1°: descrizione


CONVEGNO SUL TEMPIO MALATESTIANO
Rimini – 13 ottobre 2001


In linea con le celebrazioni indette dalla principali istituzioni riminesi per il 550° anno di fondazione del Tempio Malatestiano e del cinquantenario della sua riapertura dopo i restauri postbellici, il Circolo "Giovanni Venerucci" - associazione culturale emanazione dell’omonima Loggia di Rimini e dell'altra Loggia riminese, la Europa - organizzò un convegno il 13 ottobre 2001 dal titolo "Simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia. Il Tempio dei Malatesta, Ermetismo e Platonismo nel Rinascimento". La manifestazione, aperta al pubblico nella Sala del Giudizio del Museo del Comune di Rimini, si svolse nell’arco di una giornata (dalle ore 9.30) e fu il presidente del Circolo "Giovanni Venerucci", Antonio Calderisi, a dare il via ai lavori di un programma di grande interesse ed alto valore scientifico. Parlarono Moreno Neri (Il sogno di Gemisto Pletone), Sigfrido Hoebel (Il simbolismo alchemico del Tempio Malatestiano), Claudio Bonvecchio (Il fiume carsico dell’esoterismo platonico), Vinicio Serino (Nel segno di Ermes: cultura accademica e occulta philosophia nel paganesimo malatestiano), Silvio Calzolari (Astrologia ed Ermetismo: Scienza come Arte, Arte come Scienza) e Giancarlo Seri (Verità eterne e divine armonie nel Corpus Ermeticum di Ermete Trismegisto). Presiedettero i lavori in due distinte sessioni i professori Stefano Pivato e Morris Ghezzi, mentre le conclusioni furono del Gran Maestro Gustavo Raffi. Un concerto di musica malatestiane rinascimentali chiuse la manifestazione.


Miniatura di Giovanni da Fano dal Codice "Hesperis" di Basinio da Parma, L’elevazione del Tempio, 1462-1464 circa, Bibliothèque de l’Arsenal, Parigi

Qui sotto la sua presentazione


ASSOCIAZIONE "Giovanni VENERUCCI"

"Simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia e altrettanto atti ad attrarre fortemente i dotti quanto a permanere nascosti al volgo" è una nota frase di Roberto Valturio, amico e consigliere di Sigismondo Malatesta, che in un famoso passo del "De re militari" allude al Tempio. Brano- dicono i moderni critici- famoso e citatissimo da quanti sostengono che il Tempio celi significati criptici ed arcani.

Finora l’indagine sugli aspetti esoterici del Tempio, dei quali si sono, in una certa misura, occupati tra gli altri André Chastel, Franco Gaeta, Giovanni Gentile, Eugenio Garin, Ezra Pound, Elémire Zolla, Frances A. Yates ed Edgar Wind, è basata su due testi: una lettura, definita massonica, quella di Giuseppe De Piano nel suo "Enigma filosofico" ed una definita platonica, quella di Charles Mitchell del Warburg Institute "The imagery of the Tempio Malatestiano".

Il Convegno non vuole essere concorrente di eventi culturali già celebrati a Rimini, ma si propone di attirare l’attenzione su di una serie di elementi che non vi hanno trovato posto. Inserire tra le maglie di ordini consueti una manifestazione che appartiene ad altre rubriche è il migliore rispetto verso la libertà di ricerca, la cui vera fortuna si ha quando i suoi risultati non vengono accettati in blocco, ma continuati e ridiscussi. In particolare è proprio nel campo del simbolo, quantomeno in Occidente, che si è compiuto un distacco da una tradizione millenaria, con il risultato che tutta una serie di contenuti sono venuti meno.

Ringraziamo per la collaborazione Provincia e Comune di Rimini, il Grande Oriente d’Italia, la maggiore, legittima e regolare istituzione massonica operante in Italia, tradizionalmente impegnato non solo ad affermare i principi di uguaglianza, libertà e giustizia, ma anche a valorizzare e divulgare iniziative di carattere culturale e sociale. Ringraziamo altresì il Collegio dei Maestri Venerabili dell’Emilia Romagna ed alcune cosiddette "scuole di specializzazione" facenti parte del Grande Oriente d’Italia, cioè il Rito Simbolico Italiano, il Rito Scozzese Antico ed Accettato e l’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim, notoriamente impegnati nei particolari ambiti di ricerca dei quali ci occupiamo con il presente Convegno.


Il Presidente Avv. Antonio Calderisi






SIMBOLI TRATTI DAI PIU’ OCCULTI PENETRALI DELLA FILOSOFIA

IL TEMPIO DEI MALATESTA

Ermetismo e platonismo nel Rinascimento


promosso da




con la collaborazione di


PROVINCIA DI RIMINI
ASSESSORATO ALLA CULTURA
COMUNE DI RIMINI
ASSESSORATO ALLA CULTURA


sotto gli auspici del


GRANDE ORIENTE D’ITALIA
Palazzo Giustiniani


con il contributo del


COLLEGIO DEI MAESTRI VENERABILI
DELL’EMILIA-ROMAGNA

GRANDE ORIENTE D’ITALIA

Palazzo Giustiniani


con l’impegno di


Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim
Rito Scozzese Antico ed Accettato
Rito Simbolico Italiano





SABATO 13 OTTOBRE 2001
SALA DEL GIUDIZIO – MUSEO DELLA CITTA’


Ore 9.30 Presentazione del Convegno
Avv. Antonio Calderisi - Presidente Circolo Culturale "G. Venerucci".
Ore 10.00 Presiede ed introduce
Prof. Stefano Pivato — Università di Urbino
Ore 10.20 "Il sogno di Gemisto Pletone"
Moreno Neri — saggista
Ore 10.50 "Il simbolismo ermetico del Tempio Malatestiano"
Prof. Sigfrido Hoebel — Università Popolare di Napoli
Ore 11.20 "Il fiume carsico dell’esoterismo platonico"
Prof. Claudio Bonvecchio — Università di Trieste
Ore 11.50 "Nel segno di Ermes: cultura accademica e ‘occulta philosophia’ nel paganesimo malatestiano "
Prof. Vinicio Serino — Università di Siena
Ore 12.30 Pausa

Ore 15.30 Ripresa dei lavori
Presiede ed introduce
Prof. Morris Ghezzi — Università di Milano
Ore 16.00 "Astrologia ed Emetismo: Scienza come Arte ed Arte come Scienza"
Prof. Silvio Calzolari — Università di Bologna
Ore 16.40 "Verità eterne e divine armonie nel Corpus Ermeticum di Ermete Trismegisto"
Prof. Giancarlo Seri — Studioso di scienze ermetiche e saggista
Ore 17.10 Interventi e comunicazioni

Ore 17.40 Conclusioni: Avv. Gustavo Raffi - Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia


SABATO 13 OTTOBRE 2001
MUSEO DELLA CITTA’

Ore 21.00 Dufay e i Malatesti
Mottetti e Chansons di Guillaume Dufay
Balli di Domenico da Piacenza
Ensemble La Girometta direttore Marco Rosa Salva
(ultimo concerto delle Notti Malatestiane
Direttore Artistico M° Manlio Benzi)

Il programma del convegno di studi è suscettibile di variazioni che saranno tempestivamente comunicate su questo sito.


Sede del Convegno: Sala del Giudizio — Museo Comunale di Rimini - via Tonini 1, angolo Piazza Ferrari - Rimini

Iscrizione: la partecipazione al Convegno è gratuita ed aperta a tutti

Comitato scientifico: Bruno Berni, Antonio Calderisi, Giovanni Cecconi, Vinicio Bizzarri

Il Convegno di studi beneficia della collaborazione degli Assessorati alla Cultura del Comune e della Provincia di Rimini. Qui di seguito si propone la relazione descrittiva presentata dal circolo Culturale "Giovanni Venerucci" ai due Enti, che illustra motivazioni, finalità e contenuti della giornata di studi.




RELAZIONE DESCRITTIVA

Che l’iconografia del Tempio celi significati arcani noti solo alla stretta cerchia della corte malatestiana fu rivelato da Roberto Valturio, amico e consigliere di Sigismondo, che in un famoso passo del De Re Militari (XII, 13) allude a "simboli tratti dai più occulti penetrali della filosofia e altrettanto atti ad attrarre fortemente i dotti quanto a permanere nascosti al volgo".
Brano – dicono i moderni critici – "famoso e citatissimo da quanti sostengono che il tempio celi significati criptici ed arcani".
A questo proposito, crediamo non sia privo d’interesse – a riprova dell’interpretazione esoterica del Tempio – notare come le parole di Valturio siano stupendamente coincidenti con quelle di Geber o Jabir ibn Hayyân, scrittore arabo dell’VIII secolo, sufi ed alchimista, che formulò la prima sintesi della dottrina alchemica nel trattato, tradotto in latino nel XIII secolo, Summa perfectionis magisterii in sua natura, in cui dichiara: "Non bisogna esprimere il nostro magistero in termini del tutto oscuri, ma nemmeno con un’evidenza che lo renda comprensibile a tutti. Da parte mia lo insegnerò in modo tale che nulla ne sia nascosto ai saggi, pur senza cessare di essere oscuro agli spiriti mediocri. Quanto agli stupidi e ai folli, non potranno capirci niente…". Un secolo dopo la prima inaugurazione del Tempio Natale Conti nel suo manuale Mithologiae, pubblicato da Aldo Manunzio ancora scriverà: "quod omnia philosophorum dogmata sub fabulis contineantur (sotto la specie dei miti sono contenuti tutti i dogmi dei filosofi)". Per Conti i miti "partim res naturae occultas habent, partim mores informant (in parte racchiudono i segreti della natura, in parte educano alle virtù), con ciò concludendo che conoscenza della natura e spirito dei retti costumi sono "sub fabulis integumentis occultata (occultati sotto l’integumento dei miti)". E ancora nello stesso periodo un iniziato, anch’egli ovviamente sospettato di eresia, come Rabelais nel Gargantua dice a proposito dei misteri di certe sculture sacre che esse "intenderà solo chi comprenda le virtù, il carattere e la natura delle cose raffigurate con esse".
Già Mario Praz notava come l’emblematica, diremmo meglio noi il simbolismo, persegua due fini contraddittori: da una parte mira a costruire un sistema espressivo esoterico, e perciò chiuso ai profani, ma dall’altra si propone uno scopo didattico, proponendosi quindi l’ambizione di essere allo stesso tempo un linguaggio ermetico e un linguaggio accessibile a quanti dovessero mostrare le "qualificazioni" per accedervi.
A tutt’oggi il simbolismo del Tempio Malatestiano rimane ancora misterioso, anche se certamente nasconde dei significati precisi, come scrisse Valturio.
Il primo a tentare una lettura esoterica e diciamo pure massonica dell’apparato decorativo del Tempio fu nel 1928 Giuseppe Del Piano (1874-1930), chimico riminese, proprietario di un fiorente laboratorio farmaceutico. A distanza di settant’anni il suo Enigma filosofico del Tempio Malatestiano è tuttora un modo stimolante di leggere uno dei più inconsueti e straordinari monumenti architettonici del nostro Paese. Afferma in esso Del Piano che si tratta di un "compito piuttosto difficile, inquantoché l’argomento, più che all’ordinaria comprensione del cervello, si rivolge alle facoltà superiori dello Spirito e specialmente all’intuizione". Per Del Piano il soggetto della decorazione è "la storia immortale della religiosità umana", storia che sarebbe illustrata nelle sue tappe fondamentali, le dottrine esoteriche dell’Egitto, della Caldea, della Giudea, dell’Etruria nelle varie cappelle, e ciò coincide con il pensiero di Giorgio Gemisto Pletone.
L’unico altro importante tentativo di interpretazione della struttura mitico-simbolica sottesa al monumento elaborato dalla corte malatestiana risale agli anni cinquanta ed è di Charles Mitchell, uno studioso del Warburg Institute: Condotta sulle linee dell’insegnamento ermetico, è basata su alcuni testi di Macrobio, erudito neoplatonico del IV secolo d.C.. Tra le fonti letterarie, ispiratrici dell’apparato del Tempio, Mitchell ritiene che vadano rinvenute, oltre che nelle opere del citato Macrobio, anche in quelle di Platone, Porfirio, Giamblico e dello stesso Gemisto Pletone. Le varie parti, ispirate al tema solare, avrebbero dovuto vedere, a conclusione dell’edificio, al centro della grande rotonda cupolata, un occhio aperto al sommo della volta.
Entrambe le interpretazioni, come pure quelle vagamente citate en passant e attribuite in talune vecchie guide turistiche di Rimini al giornalista, e Maestro Massone - Guido Nozzoli che lo definisce "un tempio d’amore alchemico", sono sbrigativamente, e talora con un certo imbarazzo, tacciate dalla moderna contemporanea critica come spericolate e selvagge fantasie iconografiche, con totale rifiuto della concezione esoterica, a conferma dell’oscurità del simbolo per lo spirito mediocre del nostro tempo. A conferma quindi di quella mentalità moderna di porre tutto alla portata di tutti (una vera e propria volgarizzazione nel senso valturiano e gerberico, come se democrazia fosse sinonimo di sapienza). La moderna critica si ferma ad una "lettura attenta, e però non troppo fantasiosa" degli aspetti decorativi del Tempio, lettura che non porta, in definitiva, a nessuna superiore conoscenza, tendente a negare tutto ciò che la supera e soffocando ogni possibilità riferentesi ad un campo più elevato. Questo imbarazzo, quando non addirittura odio e ostilità, verso il mistero, il segreto, l’esoterismo, appaiono come la fantasia di supposti "privilegi", istituiti a vantaggio di qualcuno, e ostinatamente la mentalità moderna nega qualsiasi superiorità in spregio a tutto ciò che va al di là del livello "medio" e si discosta dall’uniformità. In realtà, come la tradizione insegna, le verità di un cert’ordine, per loro stessa natura, sono comprensibili solo per chi è qualificato a capirle, mentre per altri, come abbiamo visto, restano impenetrabili.
Pesa su questa impostazione della critica moderna, come un macigno, l’estetica crociana. Vogliamo ricordare cosa scrisse Benedetto Croce, al fine di comprendere meglio i suoi contemporanei epigoni? Scrisse che "decorazione vale semplicemente arte" e che "anche nei grandi cicli profani, tutti giuochi, danze e idilli e trionfi bacchici, che paiono volere soltanto lusingare i sensi e rapire l’immaginazione" il cercare in essi intenzioni e significati riposti "alimento allo spirito, che solo la nostra indifferenza in proposito o la nostra ignoranza impedisce di ricercare e scoprire" potrà al massimo far scoprire la chiave astrologica di quella determinata opera d’arte. Né il tetragono Croce né i suoi saldi epigoni si fanno scalfire dalle parole di Roberto Valturio o dalla tradizione che vuole che in un’opera d’arte vi sia una lettura dei simboli. L’attenzione che vi era allora al contenuto e all’allegoria dei simboli secondo Croce, infatti "non conferma niente, giacché non è da ammettere il principio che un critico contemporaneo giudichi meglio di un critico posteriore, come non è da ammettere l’inverso…dividendosi i critici non in contemporanei e posteriori, ma unicamente intendenti o no di arte, sensibili o no al bello". E Croce appare soprattutto infastidito da quanti hanno "fame di allegorie e di ritrovamenti del significato", irridendo gli stessi come "spiriti bizzarri e vanesi che par che immaginino che, oltre la storia visibile, ce ne sia un’altra invisibile, la quale ad essi è o sarà concesso svelare con lo stabilire sottili confronti, da loro immaginati, tra i fatti: sicché i loro racconti storici prendono aria di scoperte di cospirazioni e di intrighi ed essi di abilissimi investigatori o piuttosto poliziotti.". L’avversione di Croce è soprattutto diretta verso Warburg, il fondatore del maggior istituto di studi rinascimentali, al quale, tra l’altro, Charles Mitchell appartiene.
Aby Warburg, infatti, partendo dalla premessa dell’origine dell’opera d’arte come cooperazione tra committente e artista e quindi frutto di un’azione reciproca, in assenza di una documentazione storica su questo fecondo scambio era giunto a questa conclusione: "Dello scambio di sentimenti o pareri fra committente e artista esecutore solo di rado qualcosa giunge al mondo esterno…sottraendosi in tal modo perlopiù alla consapevolezza personale e storica. Bisognerà quindi, giacché le deposizioni di testimoni oculari sono così difficilmente reperibili, convincere di colpevolezza il pubblico coinvolgendolo nell’indagine mediante prove indiziarie.".
Secondo l’imperante sistema crociano ogni opera che minacci di stroncare tale impostazione generale viene accuratamente occultata.
Dal nostro punto di vista, che riteniamo legittimo, se è lecita la libertà di ricerca, al contrario anche il Tempio si rifà a quella Tradizione che è di per sé affine e compartecipe dell’esoterismo, in quanto tende a rimanere immutata nel corso dei secoli, quanto meno nella scelta del repertorio simbolico, senza farsi condizionare dai mutamenti di gusto artistico che avvengono d’epoca in epoca e nelle diversità da luogo a luogo, a riprova della sua primordialità sovrumana nel tempo e della sua circolarità diffusa nello spazio.
I simboli non sono dunque rivolti a chiunque, ma destinati soltanto a coloro che vogliano risvegliare le idee assopite nel nostro intelletto. Diversi perciò dalle parole, dalle formule razionali, aristoteliche appunto, di cui non si vuole contestare l’utilità pratica e scientifica (anche se la fisica, oggi, se vuole tentare di spiegare le verità ultime ed i principi primi non può non rifarsi alle dottrine tradizionali, quali il taoismo ed il pitagorismo e platonismo dei quali ultimi l’iconografia del Tempio riminese è particolarmente permeato). Quest’ultime, le parole, le formule razionali, corrispondono ad un pensiero rigido, bloccato, artificialmente delimitato, tanto da apparire come morto rispetto al pensiero indefinito, complesso e mobile che si riflette nei simboli, la cui conoscenza è per sua natura incomunicabile
Va segnalato come proprio recentemente, il 13 settembre 1998, un servizio giornalistico nel supplemento domenicale del più autorevole quotidiano economico d’Italia Il Sole 24 ORE, dedicato al Tempio, faccia arrivare l’autore, Marco Bona Castellotti, a concludere che "prende consistenza la concezione del Tempio Malatestiano, platonizzante e ermetica, intessuta di esoterismo e non estranea a influenze orientali". Un vero squarcio di luce nell’oscurata mentalità moderna.
Quel che è certo è che, dopo gli studiosi in precedenza citati, si ricomincia a parlare del Tempio in un’ottica differente da quella alla quale si è abituati in questi ultimi decenni ed inizia a farsi strada in quanti sono ancora dotati di coraggiosa intelligenza e di perspicacia il bisogno di altri modi di conoscenza e di altri sistemi di interpretazione da quelli consueti nei quali si riscontrano molte banalità e molti luoghi comuni interpretativi.
Occorre infatti chiarire subito che l’interpretazione dei simboli tradizionali può portare assai fuori strada se non si comprende bene la loro essenziale proposta di modi d’essere. Un’interpretazione basata esclusivamente su analogie o allegorie non è di solito adeguata, mentre correlazioni ed intuizioni possono essere di maggiore aiuto nel compito di penetrazione del segreto contenuto nei simboli.
Non c’è bisogno di scomodare Fulcanelli che ne "Il Mistero delle Cattedrali" afferma che esse furono "costruite dai Frimasons per assicurare la trasmissione dei simboli della dottrina ermetica". Persino nella letteratura moderna più corriva – quella per intenderci dei best-sellers dedicati ai presunti misteri -, oramai, ci s’imbatte spesso nella teoria secondo cui le chiese medioevali erano gli equivalenti architettonici, scultorei e pittorici di una summa teologica e filosofale, simbolica rappresentazione visibile di Verità eterne ed immateriali a gloria dell’Intelligenza costruttrice dell’Universo. Nel citato filone sono sempre di più i ricercatori ed autori, da Christian Jacq a Graham Hancock, da Christopher Knigt e Robert Lomas a Michael Baigent e Richard Leigh fino a Lynn Picknett e Clive Prince, i quali pur pervenendo a risultati diversi e a congetture contrastanti, sono però accomunati da due risultati convergenti: l’origine egiziana e primordiale dell’esoterismo e l’idea che molti gioielli dell’architettura religiosa cristiana fossero punti di riferimento per gruppi le cui credenze non erano tanto ortodosse quanto la storia ufficiale vorrebbe farci credere.
Nel nostro caso va inoltre ricordato che Rimini era un’importante stazione dei Templari che qui scomparvero in maniera incruenta, differentemente da quanto accadde in Francia. E’ noto come i Templari, nella loro breve parabola di vita, promossero la costruzione di cattedrali, tra cui quella di Chartres, e favorirono la costituzione di corporazioni di costruttori e muratori, che facevano parte dell’Ordine cavalleresco, godendone dei privilegi, tra cui l’esenzione dai tributi.
A Rimini, ben molti anni prima della costituzione dell’accademia fiorentina neoplatonica di Careggi dei Medici, esisteva, fin dal 1406, un’accademia esoterica, fondata da Carlo Malatesta, sollecito zio di Sigismondo, e che fu pertanto la prima Accademia italiana, sebbene nell’attuale storiografia se ne sia persa la memoria. Ristretta inizialmente alla sola poesia, così com’era uso in ambito cortese, ebbe tra i primi adepti Jacopo degli Allegretti, precettore di Carlo. Fuggito da Forlì come guelfo, questi era poeta, medico ed astrologo. La connessione non deve sbalordire, perché come giustamente diceva Manilio: "sono medici di nome e non di fatto quelli che ignorano l’astrologia" e riconfermava Marsilio Ficino: "se ti preme la vita prendi medicine confermate dai cieli". Di lui ci riferisce Coluccio Salutati, maestro di Leonardo Bruni e suo predecessore nella prima cancelleria di Firenze. Nel suo operoso epistolario scriveva a Jacopo sui suoi pronostici determinati dall’osservazione degli astri: "lascia al genere umano il libero arbitrio, se cercherai di toglierlo, toglierai insieme l’umano e il divino". E’ la stessa accusa di rigido determinismo, di ineluttabilità del fato che sarà più tardi recata a Pletone, che cosi vedeva l’eterno ritorno dei ritmi ciclici: "I periodi del tempo recano e sempre recheranno, in epoche fisse, identiche vite e identiche azioni, in modo che niente e mai capitato di veramente nuovo e niente capita che non sia già accaduto, e che non debba prodursi di nuovo un giorno[…] Né v’è alcun modo di sfuggire e sottrarsi a ciò che Zeus ha deciso dall’eternità e che il Fato ha fissato per sempre". Gli succedette l’allievo di Petrarca Giovanni Malpaghini da Ravenna, che fu maestro, come Manuele Crisolora e Coluccio Salutati del Bruni. L’Accademia riminese operava sotto il nome di Parnaso.
Veder chiaro in questo sottile reticolo dalle cangianti sfumature il dilatarsi dei rapporti, anche vari e mutevoli, non sempre è facile. Segno di riconoscimento, ad esempio, di questa appartenenza esoterica è certo il gesto di Sigismondo, fresco di scomunica, che durante la crociata in Morea trafugò ai Turchi le spoglie mortali di Giorgio Gemisto Pletone, che volle inumare in una delle arche del Tempio riminese. Pletone fu l’ispiratore dell’accademia fiorentina voluta da Cosimo de Medici, come ci riferisce lo stesso Ficino. Maestro di iniziati Gemisto sovrintendeva un’accademia esoterica a Mistrà nel Despotato di Morea, con il quale i Malatesta avevano frequenti relazioni per motivi di famiglia ed artistico-filosofici.
Già François Masai che si è occupato dello speciale platonismo di Pletone si chiedeva se queste Accademie "non fossero, in qualche modo, delle filiali di quelle di Mistrà". Chi conosce il funzionamento delle società esoteriche e delle trasmissioni iniziatiche, che pure Pletone dispensava a Mistrà e che parrebbe strano non avesse dispensato nel suo soggiorno italiano in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze, non può che dare una risposta affermativa. "Chi ben conosce la storia degli Ordini segreti sa che difficilmente se ne può determinare l’estensione; ed è nota la loro feracità, per cui formano rami e colonie; e qualora vogliasi seguirne le tracce, ci si perde in un labirinto". Così scriveva nel 1939 Ernst Jünger.
Per altro le accademie rinascimentali risultano assai interessanti per le analogie che presentano con successive istituzioni esoteriche inglesi (o forse per le "regole" che trasferirono ad essa). I loro statuti prevedevano un presidente (sappiamo che quella di Rimini ai tempi di Sigismondo era presieduta da lui medesimo e gli adepti qui lo chiamavano "rex"), un numero determinato di membri, tornate periodiche ed un programma da svolgere. Le adunanze dei dotti che seguirono si organizzarono elaborando propri statuti (una delle prime ad agire in questo senso fu l’Accademia platonica di Firenze) e propri regolamenti; in taluni casi divennero vere e proprie corporazioni scientifiche e letterarie. L’Italia era la terra del Rinascimento, e le sue nuove dottrine giunsero ad Oxford, nel corso degli ultimi due decenni del secolo XV.
A Rimini l’incontro tra iniziati dell’Accademia pletonica e della più importante Corporazione di mestiere dell’epoca, i maestri comacini e gli altri maestri muratori intenti all’elevazione del Tempio, l’incontro dunque tra elemento prevalentemente intellettuale e spirituale, speculativo, ed elemento materiale operativo ha portato a rinsaldare componenti verosimilmente fuse agli inizi dell’Arte
Quel che è certo è che nella scuola iniziatica che faceva capo all’ermetismo di Gemisto Pletone e successivamente dei suoi allievi Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, il simbolo veniva utilizzato come immagine sacra che serviva da supporto ad una serie di pratiche mentali, come ponte per passare da uno stato di coscienza all’altro, come via d’accesso ad un preciso stato psichico, ad una "visione lucida", frutto di particolari tecniche affini a quella che oggi è conosciuta come "meditazione trascendentale". Il Tempio malatestiano è dunque un "laboratorio" attrezzato per la meditazione.
In realtà, distano ormai decenni gli unici tentativi di un’interpretazione esoterica del Tempi: quella di Giuseppe Del Piano nel suo Enigma risale al 1928, mentre le conferenze di Charles Mitchell datano al 1951 e al 1968. Né vanno dimenticate nel 1959 le annotazioni di André Chastel in Art et Humanisme, né gli interrogativi sull’interpretazione pagana del Tempio di Franco Gaeta nel suo saggio La "leggenda" di Sigismondo Malatesta del 1978. Da allora ulteriori studi in tal senso hanno toccato tangenzialmente il maggior monumento riminese. Bastino qui i nomi del grandissimo poeta Ezra Pound, quelli di Frances A. Yates ed Edgar Wind – entrambi del Warburg Institute come Mitchell – e quelli dei nostri Giovanni Gentile, Eugenio Garin ed Elémire Zolla.
Dal suo punto di vista non aveva forse torto il papa Pio II - che scomunicò Sigismondo - quando con un autorevole giudizio definì l'edificio "pieno d'opere gentili al punto che sembra meno una chiesa che non il tempio di infedeli adoratori del demonio". Il giudizio del pontefice su Sigismondo e sul suo Tempio è da sempre fonte di un certo imbarazzo nella gerarchia cattolica.
Eppure lo stesso Papa, che combatté Sigismondo, lo scomunicò e lo fece bruciare in effigie, scrisse di lui: "Sigismondo conosceva le storie ed era molto innanzi nella filosofia, e sembrava nato a tutto ciò che intraprendeva".
Le definizioni, volta a volta, di tempio pagano, ellenico, eretico, eroico, erotico,esotico ed esoterico certo appaiono un po’ strane per una chiesa recentemente consacrata a cattedrale e c’è chi, come lo studioso Giovanni Rimondini, nella pubblicistica locale, lo ha recentemente osservato con la sua consueta ruvida ironia, arrivando a provocanti proposte di musealizzazione del Tempio e di nuova e altra costruzione di cattedrale.
Non meraviglia trovare un umanista del calibro di Pio II tanto accecato dalla ira verso Sigismondo quanto dalla cupidigia verso le terre malatestiane che voleva affidare ad un nipote, nella sua caterva di mirabolanti accuse in patente contraddizione. Il papa Piccolomini fu autore, quand’era cardinale, di una tra le commedie più scollacciate, volgari e licenziose del Quattrocento, la Chrysis, e prima di prendere i voti, che prese quando l’età e la cagionevole salute gli resero la castità un obbligo, era tutt’altro che insensibile ai piaceri di Venere. Che nella cultura degli uomini di Chiesa del Quattrocento vi fosse più di una contraddizione è certo. Pio II è ancora, al secolo, quell’Enea Silvio Piccolomini, archeologo e letterato, la cui prosa elegante è infiorata di reminiscenze mitologiche. Che passa il tempo a giocare con i Tarocchi del Mantegna, nelle cui lamine una serie raffigura gli dei planetari. Che all’occorrenza difende le Metamorfosi di Ovidio. Che infine, quando deciderà di trasformare il suo paese natale in Valdorcia, Corsignano, in una residenza ideale, degna di un pontefice, che sarà chiamata Pienza, non troverà di meglio che proporre nel suo duomo una rielaborazione della facciata del Tempio Malatestiano di Leon Battista Alberti.
E, d’altra parte, tali condizionamenti, quello crociano da un lato e quello cattolico dall’altro neganti l’uno e l’altro significati esoterici e pagani all’interno del Tempio dei Malatesta, riescono persino a condurre a umoristici, quanto involontari – per carenza di conoscenza – ossimori, laddove si afferma, ad esempio, che la Cappella dei Pianeti come rappresentazione del cosmo sia "assolutamente priva di sottintesi esoterici". Pari a qualche bello spirito che affermasse che il sole è del tutto privo di luce. L’esoterista, ma anche qualsiasi esoteriologo, sa invece che l’astrologia tradizionale è ben altro da quella "giudiziaria" (così in voga in ambienti occultisti come pure nella più volgare diffusione dell’oroscopo presente con uno spazio in pressoché ogni mass-media). Si tratta, al contrario, di una scienza appartenente in maniera integrante al dominio della "Scienza sacra", guénonianamente intesa.
La stessa conferenza di Mina Gregori che ha aperto il programma di celebrazioni anniversarie del Tempio Malatestiano che ha illustrato, con dovizia di particolari, i contenuti ellenici, solari e implicitamente pitagorici (sin nelle iscrizioni greche e latine basate sulla "proporzione aurea") sono cadute in una platea ingenua e provinciale o quantomeno non attenta alle connotazioni di una religione solare platonica implicita nel monumento riminese.
Resta il fatto che un culto per il sole presente nel Tempio non dovrebbe scandalizzare nessuno dotato di una vera e reale religiosità. Lo stesso Dante, appartenente alle associazioni iniziatiche della Fede Santa e dei Fedeli d’Amore, un terz’ordine di filiazione templare, giustifica l’adorazione del sole nel Convivio (III, XII, 7), non il sole corporale e sensibile ma un sole simbolico e spirituale: "Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che ‘l sole". Gli stessi francescani avranno tenuto ben presente le parole del Cantico delle creature: "Laudato si, mi signore, cum tucte le sue creature, specialmente messer lo frate sole, lo quale jorna, et illumini per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore; de Te, Altissimo porta significatione". Quei francescani, novelli inquisitori, che secondo qualche storico contemporaneo avrebbero dovuto controllare eventuali cadute nel paganesimo durante i lavori del Tempio, per non parlare del fatto di un Sigismondo ben generoso di donazioni verso gli ordini religiosi ma altrettanto terribile verso chi intralciava i suoi audaci piani, specialmente se l’intralcio proveniva da quella Chiesa verso la quale non nascondeva idee hussite (altra eresia!) secondo le quali l’istituzione di Pietro doveva rinunciare al potere temporale per dedicarsi interamente e solamente all’esercizio spirituale.
Questa lunga premessa spiega già, in parte, motivi e temi che saranno esplorati nel convegno di studi. Convegno che non può e non vuole naturalmente essere concorrente ai molteplici eventi culturali promossi dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, dal 21 settembre 2000 e fino al 15 giugno 2001, sotto i titoli RIMINI: LA CITTA’ INTORNO AL SUO TEMPIO e IL POTERE LE ARTI LA GUERRA: LO SPLENDORE DEI MALATESTA. Non abbiamo ovviamente la forza economica per proporre una così interessante e ricca messe di eventi, ma vogliamo introdurre un po’ di incongruità nell’ordine del giorno degli eventi proposti, in altre parole attirare l’attenzione su una serie di elementi, che per le ragioni sopra esposte, difficilmente apriranno varchi o troveranno posto nella sintesi della configurazione proposta sull’epoca dello splendore malatestiano. Inserire tra le maglie di un ordine consueto, una manifestazione che appartiene ad altre rubriche o, in altre parole, introdurre in un pensiero rigido, bloccato, artificialmente delimitato, tanto da apparire come morto rispetto al pensiero indefinito, complesso e mobile che si riflette nei simboli, è il miglior segno di rispetto verso la libertà di ricerca. Come insegna la storiografia, la vera fortuna di una ricerca si ha quando i suoi risultati non vengono accettati in blocco, ma continuati e ridiscussi. Se ciò non accade è perché domina il provincialismo non solo scientifico, ma morale.
In particolare è proprio nel campo del simbolo che, quantomeno in Occidente, si è compiuto un distacco da una tradizione ultramillenaria con il risultato che tutta una serie di contenuti, di preponderante e universale importanza, sono venuti meno o restano incompresi. Ma oggi ci si comincia a chiedere se il vero nocciolo della rivoluzione dell’arte moderna – da un lato il disinteresse dei critici per il significato dell’opera d’arte e dall’altro il disinteresse degli artisti per il soggetto ed il motivo – non sia tanto la rinuncia alla figuratività per l’astrazione, ma piuttosto, per quanto in precedenza si descriveva, il disprezzo e l’oblio per questi contenuti che animavano pressoché ogni forma della realtà dandole una quarta dimensione, un’efficacia e profondità magica.
Per quanto riguarda il concerto, previsto a conclusione della manifestazione, sarà basato sulle musiche rinascimentali del primo, geniale rappresentante della musica fiamminga quattrocentesca, Guillaume Dufay. Il "Machaut del XV secolo", come venne soprannominato, nacque all’inizio del secolo nella zona di confine fra la Francia e i Paesi Bassi, probabilmente a Cambrai, dove lo troviamo fanciullo, cantore nella Cattedrale. Intorno al 1420 si recò in Italia, e fu al servizio dei Malatesta a Rimini e a Pesaro, per poi passare alla Cappella papale a Roma, a Bologna, a Firenze e infine alla corte del duca Ludovico di Savoia. Durante il suo soggiorno italiano - decisivo per la formazione dell’artista, fra i venti e i trentacinque anni - il Dufay è nel 1436 a Firenze, per la consacrazione del Duomo del Brunelleschi, e qui, per l’occasione, compone il Mottetto Nuper rosarum Jlotes. La più sorprendente affermazione della personalità di Dufay sta nella limpida struttura della sua polifonia. L’arte del Brunelleschi dovette operare fecondamente sulla formazione musicale del Dufay. Ammirato dallo splendido senso delle proporzioni tipico dell’arte italiana del Quattrocento, egli seppe innestare nella composizione musicale un nuovo senso della misura che equilibrava l’elaborata e complessa tecnica trecentesca.
Si è ipotizzato d’inserire tale concerto, da noi ideato, in seno alla rassegna NOTTI MALATESTIANE con la direzione artistica del Maestro Manlio Benzi.

Il Segretario Moreno Neri

Agostino di Duccio, Tempio di Minerva, Particolare dell’Arca degli Antenati, 1454 circa, Tempio Malatestiano, Rimini, fot. Brogi




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