sabato 2 aprile 2011

LA CONCA DEL TEMPIO. Parte 6°

Infine c'è la pubblicazione che contiene gli atti del convegno con cui prese avvio LA CONCA DEL TEMPIO.
Come scriveva Fernando Piccari, a quel tempo Assessore alla Cultura della Provincia di Rimini: "Sostenendo questa iniziativa, l'Amministrazione Provinciale ha inteso fornire l'opportunità di arricchire il palinsesto delle Celebrazioni Malatestiane con un appuntamento carico di massicce dosi di "diversità"; e, proprio per questo, in grado di apportare nuova e benefica linfa, oltre a qualche elemento di salutare "arditezza", alla ricerca e al dibattito attorno alla figura di Sigismondo e a quel Tempio Malatastiano che ancor oggi ce ne rammenta i trionfi. Interrogarsi cercando di capire (come ci hanno indotto a fare Amati e Rinciari) perché Ezra Pound, un personaggio così complesso e discusso, sia stato attratto dalla figura di Sigismondo, fino a sentire il bisogno di venire a ripercorrerne in loco l'opera e le tracce, apre infatti uno squarcio di duplice valenza: atto a favorire, da una parte, una ricerca storiografica sul Tempio Malatestiano che, secondo "l'invocazione" di Moreno Neri, non anneghi nel piccolo stagno della scontatezza, della ritualità e dell'auto-celebrazione, ma si faccia conquistare dal sempre più "laico bisogno" di studiare scrutando il passato a trecentosessanta gradi; e che possa anche indurci a sottoporre la figura e l'opera di Ezra Pound al vaglio di una rinnovata curiosità culturale. Meno aprioristica e schematica di quella che, in passato, l'ha fatto sbrigativamente percepire, a tanti di noi, come un simbolo - sia pure geniale e affascinante - di negatività, distruzione e decadimento. Oggi invece, anche per l'incalzare di eventi che ci impongono di liberarci dalla zavorra di antiche certezze, è bene poter rivisitare e rivalutare quelle testimonianze esistenziali e quelle creatività artistiche che - come nel caso di Pound - seppero essere, per così dire, di frontiera. Nel senso, cioè, che riuscirono a sospingersi laddove la distanza che separa gli opposti è tanto sottile quanto il filo che lega fra loro le cose che appaiono uguali."

Il libro La Conca del Tempio - Ezra Pound e Sigismondo Malatesta: Atti della Tavola Rotonda / Castello Malatestiano di Montefiore Conca: 16 giugno 2001,  a cura di Ugo Amati e Simona Rinciari, Raffaelli Editore, Rimini, dicembre 2001,
raccoglie i contributi di Gillo Dorfles, Luca Cesari, Piero Sanavio, Simona Rinciari, Mary de Rachewiltz, Ugo Amati e Moreno Neri. Nel momento in cui scrivo è ancora disponibile, presso l'editore Raffaelli. Il mio intervento è alle pp. 39-50.




Questo il testo del mio intervento.




Moreno Neri:




Come accennava Ugo Amati all’inizio, io non sono un esperto di Pound, passo per essere uno studioso di Giorgio Gemisto Pletone, un filosofo pressoché sconosciuto che cerco di fare conoscere, o al più come uno studioso, un ricercatore dei significati simbolici del Tempio Malatestiano.
Di Pound sono un lettore, per altro frammentario, soprattutto dei Cantos Malatestiani, e vi sono arrivato, per così dire, “di risulta”, partendo da studi malatestiani, perché come qualsiasi riminese sono a suo tempo rimasto colpito dal Tempio Malatestiano.
L’ho visitato più volte, scrutato. Devo dirlo: a volte l’ho usato come sala di meditazione, anche se questo può sembrare un po’ strano, e nello stesso tempo ho cominciato a leggere, molto, su di esso e su Sigismondo. Eppure gli studi contemporanei mi hanno sempre provocato un fortissimo senso di disagio e di insoddisfazione, come se, con la mente, componendo faticosamente un puzzle, percepissi l’assenza di qualche tassello fondamentale. L’impressione che ne ricavavo, dalle letture di stampo crociano o comunque da quelle correnti, letture in un’ottica positivistica o peggio tese a giustificare l’esuberante paganità che è presente nel Tempio Malatestiano in un contesto cristiano, è che tutte queste letture “divorassero la storia”, se non quella invisibile, che in ogni caso non riesce a farsi ingabbiare, anche quella visibile, che la diminuisse e la occultasse con una pervicacia quasi fanatica, certo ottusa.
A quel punto sono dunque tornato più indietro, ho ripercorso, in un primo momento, quasi senza accorgermene, gli stessi passi di Pound, letto gli stessi studi malatestiani che lui aveva letto, compreso il Soranzo che credo nessuno legga più o sappia neanche più di che cosa parla comunque. Ricordo di due episodi. Il primo: volevo verificare una mia traduzione dal latino di una frase del Platina della sua Vita de’ Papi – quella in cui sottoposto a tortura dopo l’arresto degli accademici romani risponde su cosa avesse da confabulare con Sigismondo – e la traduzione, che cercavo ansiosamente da un mese, era già là, in bella vista, nei Cantos. Il secondo fu quando vidi le foto della cassa di libri che Pound si fece spedire nel 1925 da Parigi a Rapallo e al centro stava in bella mostra il volume dell’Yriarte che stavo traducendo dal francese in italiano.
Dopo Pound, che ebbe un vero culto per questo libro, si è in vario modo parlato della esiguità dello spessore degli studi di Charles Yriarte sulla corte malatestiana, finendo addirittura col negare i suoi studi  e col classificare il suo volume come il grande episodio conclusivo di una lunga favola sviluppatasi nel corso dei secoli. Bene, il punto è che tutto ciò che è contenuto nel Tempio è favola, mito, simbolo. Un secolo dopo la prima inaugurazione del Tempio Natale Conti nel suo manuale Mithologiae, pubblicato da Aldo Manunzio, ancora scriverà che “sotto la specie delle favole sono contenuti tutti i principi fondamentali dei filosofi”. E ancora nello stesso periodo un iniziato, anch’egli ovviamente sospettato di eresia, come Rabelais nel Gargantua dice a proposito dei misteri di certe sculture che esse “intenderà solo chi comprenda le virtù, il carattere e la natura delle cose raffigurate con esse”.
Perché Pound, Adrian Stokes, Bernard Berenson scoprissero e amassero il Tempio è tutto merito di Yriarte. La traduzione di alcuni brani del ponderoso volume, - tacciato, come vi dicevo, di esiguità di studi, ed è un volume semplicemente di oltre quattrocentocinquanta pagine-, che vi voglio offrire illustra le prospettive che si aprivano, e che credo abbiano ispirato sicuramente Pound nel visitare Rimini e il Tempio. Scrive Yriarte:

Entrando nel tempio per la prima volta, l’impressione è profonda:… Da qualunque lato si posino gli occhi, essi si fermano su una ricca decorazione piena di simboli e di allegorie. Qui, gli elefanti di marmo nero dello stemma dei Malatesta sembrano curvati sotto il peso dei massicci pilastri, nere cariatidi che danno all’architettura un aspetto esotico. Là, nella cappella di San Sigismondo, il patrono del signore di Rimini, il re di Burgundia, nella nicchia dove si eleva la sua statua, riposa su due elefanti simbolici; nelle balaustre, nei timpani, nei fregi, negli archi, nelle chiavi di volta, nelle pietre tombali, nel soffitto, sopra la vostra testa, nel pavimento, sotto i vostri piedi, è stato scolpito l’emblema dei Malatesta, appeso il loro stemma o incise le loro divise: la Rosa, le tre Teste e i Denti di sega. Tutto parla del signore di Rimini ; e tutto, nello spirito e nella forma, respira l’antichità. Si direbbe che l’anima delle cose antiche, lo spirito dei Greci, i loro miti, le loro credenze e la loro filosofia abbiano ispirato e dettato queste allegorie e questi simboli.

Continua Yriarte: Non sono affatto degli angeli, bensì dei genî che, spiccando su quei fondi d’azzurro, celebrano i loro concerti con degli strumenti di foggia antica. Ecco la Forza, la Prudenza, la Scienza, la Musica, l’Astronomia, la Filosofia, le Arti, i sette Pianeti, i segni dello Zodiaco. Gli artisti hanno tratto dai blocchi di pentelico strappati dal condottiero dai templi della Grecia e dalle basiliche di Ravenna tutto un mondo d’Efebi, di Genî e di Divinità pagane. Cinquecento stemmi o divise, cento bassorilievi, tre sepolcri, venti statue, tutta una flora monumentale che vegeta dalle pareti delle parti superiori, compongono un insieme decorativo di una perfetta unità ad onta di tante ricchezze : e neppure una sola volta, in questa casa di Dio innalzata sotto l’invocazione di san Francesco, si ritrova il ricordo delle cose sante, il segno della Redenzione, le immagini sacre o i simboli divini. La cifra che gira in quegli avviticchiamenti, e che, scolpita a giorno, forma queste balaustre, è quella di Isotta, allacciata alla cifra di Sigismondo;… il solo Immortale è assente da questo tempio al cui frontone Malatesta ha tuttavia scritto il suo nome. Non è Dio che qui si adora, è Isotta; è per ella che bruciano l’incenso e la mirra.

Ed annota Yriarte: “Questa impressione di paganesimo è l’impressione dominante entrando nell’edificio. Tutti coloro che hanno visitato e descritto il tempio l’hanno vividamente provata. Il papa Pio II, nei suoi Commentari, ha scritto a questo proposito le seguenti righe che sono ben caratteristiche e che riflettono l’opinione del tempo poiché esse datano dall’epoca della costruzione del tempio. E si cita la frase dei Commentari in cui si spiega che  Sigismondo “edificò un tempio per quanto nobile in onore di S. Francesco che però non sembra un Tempio di Cristo, bensì di fedeli adoratori di demonio”. Eppure lo stesso Papa, che combatté Sigismondo, lo scomunicò e lo fece bruciare in effigie, scrisse di lui: “Sigismondo conosceva le storie ed era molto innanzi nella filosofia, e sembrava nato a tutto ciò che intraprendeva.”

Vedete bene che i passi sono esaustivi e ragguardevoli. E ci aiutano a definire l’accusa di paganesimo e la critica alle “opere gentili”. Nel Rinascimento pagani, o gentili, erano i seguaci del platonismo o del neoplatonismo come diremmo oggi. E le opere gentilesche sono sculture simboliche, e quindi esoteriche nella stessa misura in cui sono platoniche. Sull’esoterismo della filosofia platonica credo che ormai con gli studi di Giovanni Reale si sia giunti a punti fermi. Dunque perché questa ossessione verso una lettura, il cui guadagno è obiettivo? Perché ancora si dibatte tra tempio sacro e tempio profano senza definire i due aggettivi, ma implicitamente dando come sinonimo al primo di cattolico e al secondo di non cattolico? Il tempio – lo ricordava Mary De Rachewiltz – è, in ogni caso, sacro, nella sua precisa concezione etimologica e platonica.  Nel Rinascimento il sacro c’è ed è dominante. Ma col sacro cristiano convive un altro sacro, nel senso che quest’epoca accoglie anche tutte le forme del sacro che si sono manifestate nella storia al di fuori della Bibbia. Anziché restringersi, nel Rinascimento, la dimensione religiosa si amplia.
Già Yriarte definiva Pletone una delle fiaccole dell’umanità, insomma una sorta di archetipo della cultura europea, una figura centrale della quale non abbiamo ancora sufficiente consapevolezza. Nei miei lavori ho tracciato una parabola ed un parallello tra Pletone e Bruno. Come già Pitagora, Platone e l’imperatore Giuliano, il primo ha un grande progetto di unificazione religiosa del genere umano con il ritorno alle antiche origini e Bruno, da altra posizione ma derivata dalla prima, insegue un grande ideale di “renovatio mundi”. Nessuno dei due progetti passerà, nè all'interno della chiesa nè sul piano delle prospettive etico-politiche. Resta l’eredità di due grandi insegnamenti, che è quella dell’unificazione di tutte le religioni e che Mary De Rachewiltz si augurava nel suo intervento. Il perché Pletone sia scomparso dalla memoria comune, pur notato da Pound, è questione, se si vuole,  derivata da un pregiudizio di fondo, semplice e complessa al tempo stesso. In realtà il Tempio, come si diceva, nasce e ruota intorno ad una filosofia e a un’idea centrale, che ha cambiato la storia spirituale dell’Occidente. Quella pitagorico-platonica, in contrasto a quella aristotelica, scolastica e cristiano ortodossa. Come dice Gadamer si potrebbe davvero scrivere una storia della metafisica come storia del platonismo, c’è anche chi si spinge ad affermare che la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a piè di pagina ai testi platonici. Si vorrà dunque rinnegare la metafisica e la dimensione del sacro per la propria fede? Aveva dunque ragione Giorgio Gemisto Pletone ad indicare in Aristotele il grande responsabile del senso di materializzazione della realtà, della chiusura degli orizzonti in Occidente.

Quanto alla venerazione di Isotta, mai come nel Rinascimento si assiste ad una riscoperta dell’aspetto femminile della divinità, un vero e proprio ritorno, assieme agli antichi dei, della Grande Madre. In quest’epoca, parallelamente, c’è un trionfo del culto mariano – un fenomeno incredibile: dei santuari che vengono costruiti il 99% sono dedicati alla madonna, solo l’1% agli altri santi. E anche nelle arti figurative la presenza di Maria è fortissima.
Pound con i suoi siderei occhi ha sicuramente veduto tutto questo, ha percepito, oltre la storia visibile, una storia arcana. Quanto ampio sia stato l’influsso in Pound dell’elemento pagano e magico, di scuole esoteriche e di dottrine tradizionali, quali ancora i suoi stretti legami con famosi esoteristi del Novecento, appare col procedere degli studi che a questi aspetti hanno dedicato Boris de Rachewiltz, Leon Surette, Sharon Mayer Libera e Demetres Tryphonopoulos.
E lo stesso contrasto tra platonismo ed aristotelismo,  si ripropone oggi nell’interpretazione del Tempio, tra simbolismo e razionalismo, o ancora tra warburghiani e crociani, tra libertà di ricerca e fede, tra mytos e logos. Diciamo per semplificare che nella provincia di Rimini la contesa, negli studi e ricerche malatestiane, sembra esser vinta dai secondi. Pletone e Sigismondo direbbero che hanno vinto gli eredi di Scholarios e Trapezunzio, o di quel “vescicone” di Pio II. Del resto già Pound quando visitava la biblioteca di Rimini per studiare i testi malatestiani veniva guardato con sufficienza e sospetto dal bibliotecario Massera. Diverso è il panorama se usciamo dai confini di Rimini. Che la concezione platonica informi la filosofia di Sigismondo e del Tempio è concetto che possiamo ampiamente rinvenire, ritrovare e riscontrare negli studi, che pur non trattano in maniera specifica il grande momento malatestiano, di Frances Amelia Yates, di André Chastel,  dei nostri Giovanni Gentile (che subito comprese la straordinaria importanza di Pletone nel quadro della filosofia italiana e europea) e di Eugenio Garin, di Edgar Wind e di Elémire Zolla.
Potremmo dire che da Pletone e Sigismondo a Yriarte fino a Pound s’è consumata una silenziosa rivoluzione, che dopo di loro è continuata e continua tuttora. Insomma per parlare del Tempio e dello splendore sigismondeo, parafrasando Heidegger, dovremmo anche dire che la loro storia non è affare della storiografia, tantomeno della storia dell’arte, ma della filosofia. E parafrasando Pletone dovremmo chiederci se le opere dei nostri storiografi locali non meritano d’essere studiate, e risponderemo come Pletone: proprio il contrario, a causa di quel che vi è di utile in esse, a condizione tuttavia di sapere che innumerevoli e grossolani errori vi si trovano mescolati. Quindi ben diversamente da chi coltiva gli aut aut dottrinali. Non sarà però sufficiente il logos senza il mythos per chi voglia tentare di ascendere per la via della conoscenza.

Per la partenza da questa via sono necessari due elementi. Potremmo usare, in perfetto stile poundiano, l’ideogramma cinese  (XIN), che significa cuore ma anche, di complemento, mente. Per il cuore: è evidente che chiunque dotato di esso entri nel Tempio viene preso dalla sensazione che una qualche misteriosa dottrina si celi dietro lo splendore delle sculture. Per la mente ci riferiremo al celebre assunto rivelato da Roberto Valturio, amico e consigliere di Sigismondo, che in un famoso passo del De Re Militari (XII, 13) allude a proposito del piano iconografico del Tempio a simboli attinti ai profondi penetrali della filosofia, in grado di attrarre gli esperti che li osservano e rimanere per lo più alieni al volgo. Brano – dicono i nostri moderni storici – famoso e citatissimo da quanti sostengono che il tempio celi significati criptici ed arcani.
Non si è voluta seguire la strada indicata da Ezra Pound. Si è scelto il prosaico “quieto vivere” che ad ognuno conviene. Si è scelta la mente, la ragione, e non anche con essa ciò che all’interno dell’uomo supera la ragione: un sentimento, una fantasia, un emozione. Restando ancorati al nostro territorio, qualche viottolo nascosto che riconduce a quel sentiero indicato da Pound permane ed è sperabile che da esso si aprano altre numerose vie nuove e fecondissime. Per il passato individueremo nel nostro territorio, in esso nate od invitate, personalità qualificate ma emarginate ed esorcizzate dalla tirrannia storico-estetica in voga. Penso a Giuseppe Del Piano, al suo Enigma filosofico del Tempio Malatestiano, penso a Charles Mitchell. La moderna critica locale si ferma ad una – cito testualmente – lettura attenta, e però non troppo fantasiosa degli aspetti decorativi del Tempio, un paradigma consueto che non porta, in definitiva, a nessuna superiore conoscenza, tendente com’è a negare tutto ciò che la supera e soffocando ogni possibilità riferentesi a un campo più elevato.
Dal nostro punto di vista, che riteniamo legittimo, se è lecita la libertà di ricerca, al contrario affermiamo, con Pound, che il Tempio si rifà a quella Tradizione che è di per sé affine e compartecipe dell’esoterismo, in quanto tende a rimanere immutata nel corso dei secoli, quanto meno nella scelta del repertorio simbolico, senza farsi condizionare dai mutamenti di gusto artistico che avvengono d’epoca in epoca e nelle diversità da luogo a luogo, a riprova della sua primordialità sovrumana nel tempo e della sua circolarità diffusa nello spazio. Questo stato di cose anzi ci persuade sempre di più verso la necessità di un anelito al ritorno dell’età dell’oro, invocata da Pound, ci induce, così come constatava e sognava Giorgio Gemisto Pletone, ad osservare un mondo decrepito che ha bisogno di essere ricondotto alla sua giovinezza, un Occidente che non è più in grado di intendere il linguaggio del mito, del simbolo, degli Antichi Misteri. Il Rinascimento fu davvero simile al mondo greco nel suo fiorire: una realtà diversa emersa dalla storia per porsi come un’accesso ad un’altra dimensione, una trasfigurazione. Come per Pound, la storia ci sia di modello.

I simboli, ci indica Valturio, non sono dunque rivolti a chiunque, ma destinati soltanto a coloro che vogliano risvegliare le idee assopite nel nostro intelletto. Diversi perciò dalle parole, dalle formule razionali, aristoteliche appunto, di cui non si vuole contestare l’utilità pratica e scientifica (anche se la fisica, oggi, se vuole tentare di spiegare le verità ultime ed i principi primi non può non rifarsi alle dottrine tradizionali, come il taoismo ed il pitagorismo e platonismo dei quali ultimi l’iconografia del Tempio riminese è particolarmente permeato). Quest’ultime, le parole, le formule razionali, corrispondono ad un pensiero rigido, bloccato, artificialmente delimitato, tanto da apparire come morto rispetto al pensiero indefinito, complesso e mobile che si riflette nei simboli, la cui conoscenza è per sua natura incomunicabile.
Le definizioni, volta a volta, di tempio pagano, ellenico, eretico, eroico, erotico, esotico ed esoterico certo appaiono un po’ strane per una chiesa oggi consacrata a cattedrale e c’è chi, nella pubblicistica locale, lo ha recentemente osservato con la sua consueta ruvida ma sincera  ironia, arrivando a provocanti proposte di musealizzazione del Tempio e di nuova e altra costruzione di cattedrale. Allo stesso modo ci si scandalizzò nel 1478 quando un frate camaldolese entrato in Santa Maria degli Angeli, a Firenze, invece di preghiere e salmodie, aveva trovato una sorta di accademia per secolari, con i sedili del coro occupati dai laici, l’oratorio mutato in ginnasio, il posto del sacerdote all’altare preso da un “philosophus”, che era Marsilio Ficino che dava pubblica lettura della prima traduzione di Plotino, a testimonianza che il platonismo era penetrato nella vita di un’epoca con tutta la carica riformatrice della sua ispirazione.
E, d’altra parte, tali condizionamenti, quello crociano da un lato e quello cattolico dall’altro neganti l’uno e l’altro significati simbolici, esoterici e pagani all’interno del Tempio dei Malatesta, riescono persino a condurre a umoristici, quanto involontari – per carenza di conoscenza – ossimori, laddove si afferma, ad esempio, che la Cappella dei Pianeti come rappresentazione del cosmo sia assolutamente priva di sottintesi esoterici. Pari a qualche bello spirito che affermasse che il sole è assolutamente privo di luce. L’esoterista, ma anche qualsiasi esoteriologo, un cultore di filosofia, un astrologo dilettante, sa invece che l’astrologia tradizionale è, al contrario, una scienza appartenente in maniera integrale al dominio della “Scienza sacra”, guenonianamente intesa, al campo –chiamatele come volete – delle scienze iniziatiche, esoteriche…. Le conoscenze e le parole di Pletone sull’astrologia sono per altro illuminanti. La stessa conferenza di Mina Gregori, che ha aperto il programma di celebrazioni anniversarie del Tempio Malatestiano,  ha illustrato, con dovizia di particolari, i contenuti ellenici, solari e implicitamente pitagorici ed astrologico-caldei (sin nelle iscrizioni greche e latine basate sulla “proporzione aurea”) che sono caduti in una platea ingenua e provinciale o quantomeno non attenta alle connotazioni di una religione solare platonica racchiusa nel monumento riminese.

Resta il fatto che un culto per il sole, sorto simbolicamente nell’antica Grecia, presente nel Tempio non dovrebbe scandalizzare nessuno dotato di una vera e reale religiosità. Lo stesso Dante giustifica l’adorazione del sole nel Convivio (III, XII, 7), non il sole corporale e sensibile ma un sole simbolico e spirituale: Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che ‘l sole. Gli stessi francescani avranno tenuto ben presente le parole del Cantico delle creature: Laudato si, mi signore, cum tucte le sue creature, specialmente messer lo frate sole, lo quale jorna, et illumini per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore; de Te, Altissimo porta significatione. Quei francescani, presunti novelli inquisitori, che secondo qualche storico contemporaneo avrebbero dovuto controllare eventuali cadute nel paganesimo durante i lavori del Tempio! Per non parlare del fatto di un Sigismondo ben generoso di donazioni verso gli ordini religiosi ma altrettanto terribile verso chi intralciava i suoi audaci piani, specialmente se l’intralcio proveniva da quella Chiesa verso la quale non nascondeva idee hussite (altra eresia!) secondo le quali l’istituzione di Pietro doveva rinunciare al potere temporale per dedicarsi interamente e solamente all’esercizio spirituale.
Bene… credo d’aver cominciato ad introdurre un po’ di incongruità nell’ordine del giorno degli eventi proposti, e per eventi proposti non mi riferisco all’evento odierno ma agli eventi proposti in generale sui Malatesta. In altre parole cerco di cominciare ad attirare l’attenzione su una serie di elementi, che per le ragioni sopra esposte, difficilmente aprono varchi o trovano posto nella sintesi della configurazione proposta sull’epoca dello splendore malatestiano, che si sta concludendo a Rimini. Oggi inseriamo tra le maglie di un ordine consueto, una manifestazione che appartiene ad altre rubriche o, in altre parole, introduciamo dei nuovi, per noi, ma antichi accessi in quel pensiero rigido cui s’accennava… è questo è il miglior segno di rispetto verso la libertà di ricerca. Come insegna la seria storiografia, la vera fortuna di una ricerca si ha quando i suoi risultati non vengono accettati in blocco, ma continuati e ridiscussi. Se ciò non accade è perché domina la rigidità, l’intransigenza, il provincialismo non solo scientifici, ma morali. Del resto qual è la vera sostanza della realtà? Pletone, riallacciandosi a Platone, avrebbe risposto le forme, le idee, modernamente e altrettanto platonicamente ci si esprimerà dicendo le informazioni.

In particolare è proprio nel campo del simbolo che, quantomeno in Occidente, si è compiuto un distacco da una tradizione ultramillenaria con il risultato che tutta una serie di contenuti, di preponderante e universale importanza, sono venuti meno o restano incompresi. Ma oggi ci si comincia a chiedere se il vero nocciolo della rivoluzione dell’arte moderna – da un lato il disinteresse dei critici per il significato dell’opera d’arte e dall’altro il disinteresse degli artisti per il soggetto ed il motivo – non sia tanto la rinuncia alla figuratività per l’astrazione, ma piuttosto per quanto in precedenza si descriveva, il disprezzo e l’oblio per questi contenuti che animavano pressoché ogni forma della realtà dandole una quarta dimensione, un’efficacia e profondità magica, una prospettiva metafisica, un mistero che oltrepassa la ragione. Vorrei anche rassicurare quanti si spaventano o si trovano a disagio nell’ascoltare termini come esoterismo, occultismo, arcano, mistero. Nonostante il mio intervento, che a taluno sarà parso “culturale” vorrei riaffermare che  l’esoterismo non è un fatto culturale. L’esoterismo fa sì  parte di quella “Tradizione celeste” di cui ci parla Pound nella sua Guida alla Cultura, a quella scuola di pensiero risalente agli antichi misteri greci e alla quale appartengono, come anelli di un’unica catena iniziatica, gli eroi immortalati nei Cantos, quella “cospirazione dell’intelligenza”.  Tuttavia l’esoterismo è più una riattivazione di un senso, un’intuizione, una visione sinoticca direbbe Platone, per Pound l’esplicazione di uno stato d’animo. E la cultura ha il suo sostrato e supporto nella lingua, nel discorso, nella prosa. L’esoterismo è soprattutto un fenomeno estetico, mitico, simbolico. Sottolineare i nessi fra estetica ed estasi è tautologico.

Come si sia perduta questa nozione plenaria della bellezza, così come dell’unità biocosmica continuamente illustrata nelle formelle del Tempio è questione delicata, di cui ho parzialmente e stentamente illustrato i motivi. Spogliati della cultura che non ha ricette per la felicità, è forse sufficiente ri-orientarci alle fonti originali e originanti del sentire, guadagnare quella spontanea gaiezza e giocosità dei bambini che vediamo illustrata dai fanciulli nella Cappella malatestiana detta dei giochi infantili. Il pensiero corre al loro significato simbolico, alla loro felicità, pacificazione ed armonia, che nasce da una pre-conoscenza, Platone e Pletone avrebbero detto reminiscenza – che forse in molti hanno perduto.
Agli esoteristi, e lo dimostra la frase di Valturio, soprattutto interessa il silenzio. Quanto diceva Plutarco, dei pitagorici, può estendersi all’interpretazione del Tempio riminese: Niente è peculiare alla filosofia pitagorica quanto l'uso dei simboli che si  usano nella celebrazione dei Misteri. È un modo di parlare che sostituisce il silenzio e al tempo stesso il discorso. E tale può essere la poesia, il gioco ed ogni opera d’arte se vissuta come percorso iniziatico, così come ha fatto Pound nei Cantos, così come fanno oggi Simona ed Ugo.
Invocheremo dunque una rieducazione al sentire e dopo il tempus loquendi verrà il tempus tacendi.
In fondo oggi, grazie a Simona Rinciari ed Ugo Amati, celebriamo due eretici, Pound e Sigismondo, due poeti ridotti al silenzio la cui vita è stata un gioco di successi ed insuccessi, anche questi ultimi pur sempre monumentali come ricordava Pound di Sigismondo, con un evento estetico.
Quale miglior omaggio, celebrando i nostri due eroi della Tradizione Celeste, per tentare, come loro, d’ascoltare nuovamente gli dei! Come dice Borges:
La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dirci qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce è, forse, il fatto estetico.

Mary de Rachewiltz, Ugo Amati e Moreno Neri al Convegno. Fotografia © Adriapress

 
Montefiore Conca (RN), 16 giugno 2001. I relatori del Convegno; da sinistra Gillo Dorfles, Luca Cesari, Piero Sanavio, Simona Rinciari, Mary de Rachewiltz, Ugo Amati e Moreno Neri. Fotografia © Adriapress

Sotto: in queste tre foto la cassetta per libri che Ezra Pound aveva nello studio di Parigi e che si fece mandare in Italia dopo essersi trasferito a Rapallo nel 1925. Al centro e in primo piano si nota il volume di Charles Yriarte. Fu questo libro che fece scoprire a Pound il Tempio di Sigimondo Malatesta a Rimini e che ispirò gran parte dei Cantos malatestiani.
Le foto della cassetta da viaggio dei libri di Pound sono tratte dall’inserto fotografico, curato da Renzo D’Amore (come si legge nel risvolto di copertina), che si trova tra le pp. 80 e 81 di Pound/ Radiodiscorsi, Edizioni del Girasole, Ravenna, 1998.








A distanza di dieci anni, rileggendo il mio intervento, che non ricordavo più, trovo che tutto è gia segnato come un seme di ciò che sarebbe germogliato negli anni seguenti. Penso, oltre a Pletone, a Yriarte e Stokes. Ma ogni seme ha i suoi tempi e il campo deve essere arato e lavorato perché il seme si faccia pianta, fiore e frutto per poi diventare a sua volta un nuovo seme. 

L'Architettura, bassorilievo della Cappella delle Arti Liberali, Tempio Malatestiano di Rimini.
















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