All'inizio della seconda metà del dicembre del 2001, l’associazione
culturale non profit O.L.P. ONE LABOUR PARTY, da me da diversi anni presieduta, insieme a Walter Raffaelli
Editore, decise di proporre all’Assessorato alla Cultura del Comune di Rimini e alla Civica Biblioteca
“A. Gambalunga”, un ciclo di conferenze dedicate al filosofo greco Giorgio
Gemisto Pletone, in occasione del 550° anniversario della sua morte.
Il ciclo di conferenze doveva essere denominato “INTORNO AL RITORNO DI PLETONE” e tenersi in date da stabilirsi successivamente e concordemente con la Biblioteca comunale "Alessandro Gambalunga" nel
periodo ottobre-dicembre 2002.
Quella che segue è la "relazione descrittiva" del nostro progetto nella sua fase iniziale
RELAZIONE DESCRITTIVA
CICLO DI CONFERENZE
INTORNO AL RITORNO DI
PLETONE
See, they
return, one, and by one,
With fear, as
half-awakened
Guarda,
ritornano uno per uno,
Con paura, solo a metà svegli
Ezra Pound
Premessa.
Appena il 24 febbraio 2000 in occasione
della presentazione del “Trattato delle virtù” di Giorgio Gemisto
Pletone, edito da Walter Raffaelli, la prima versione in italiano di un’opera
del filosofo di Mistrà, si affermava che la fresca pubblicazione era “una vox
clamantis in deserto, un seme
lanciato in un terreno culturale, che, salvo scarsi e perciò preziosi
contributi, pare essere irrimediabilmente inaridito. Eppure la grandiosa idea
di Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di Rimini, giunto ormai agli estremi,
l’ultima operazione del Tempio che sapeva destinato a restare incompiuto, è
proprio quella di trasportare le ossa del vero iniziatore del Rinascimento, ed
ospitarle in quel monumento che, non a torto, si è detto, ha la possibilità e
quasi il diritto di porsi ad emblema stesso del Rinascimento.”
Nella sala del Club
Malatestiano, di fronte a poco meno d’un centinaio di persone, nella conferenza
organizzata dal Circolo Culturale “Giovanni Venerucci” ci si lamentava che “dunque,
quella di Pletone è una figura che continua ancora a restare avvolta nel
mistero. Di un uomo di cui, stranamente, vediamo il carisma su tantissimi
uomini del Rinascimento e l’influenza in tante e così grandi opere altrui e ne
conosciamo pochi o quasi nulli tratti. E’ presente nelle armoniose misure
musicali basate sulla sezione aurea pitagorica dell’architetto Leon Battista
Alberti, è l’iniziatore ed ispiratore non solo dell’Accademia fiorentina, di
quelle Romane, della Napoletana ed anche della prima italiana, ma meno nota,
riminese, con tutto quello che ne conseguì in termini di rivoluzione del
pensiero, con lui rinasce lo studio dei testi di Platone, Plotino, Proclo,
Porfirio, Giamblico e Psello (che per primo collazionò i testi oggi noti come
Corpus Hermeticum), è primo attore nella reviviscenza della cultura astrologica
che permeò tante corti italiane, accompagna persino le caravelle di Colombo.
Eppure la sua figura continua a restare, soprattutto nella città che ne ospita
le spoglie, più tenue di un’ombra. E, forse, la sua vita quasi centenaria ed il
suo destino odierno sono l’esatta metafora del suo ideale del saggio: teso
com’era agli studi, alla conoscenza, alle riflessioni in campo sociale, ai
riti, a non rivelare ad estranei più di quanto fosse necessario, per non
esasperarli, loro già esasperati per la sua conoscenza o indignati per i
princìpi che inevitabilmente propugnava, teso ancora a rendere più abitabile il
mondo e più umane e quindi più divine le cose, intento alle opere e perciò vivo
nelle opere che ha ispirato ai suoi discepoli in un lavoro comune che non è
ancora terminato. Credo che l’esito del XV secolo, le navi che superano le
colonne d’Ercole ed affrontano il mare aperto siano l’esatto specchio della
nuova scienza che Gemisto porta in Occidente, superare la gabbia sclerotizzata
della Scolastica aristotelica e cercare di raggiungere il sogno di città e
mondi ideali.”
E si evidenziava: “tornare a Pletone non è uno sforzo inutile, non è un esercizio vano da lasciare
solo agli studiosi di storia del Rinascimento. Al contrario, riuscire a
comprendere la sua personalità, seguire le tracce del suo incredibile cammino
dall’Oriente all’Occidente, penetrare nel suo pensiero seducente e misterioso,
rappresenterebbe una grande occasione per recuperare il senso più profondo della
grande stagione culturale che apre l’età moderna e che fonda il nostro mondo:
il Rinascimento.”
Da allora, il seme
lanciato dall’editore Walter Raffaelli, che è stato il vero pioniere della
riscoperta di Pletone, in un terreno che pareva inaridito, ha dato invece i
suoi frutti e i richiami che parevano inascoltati sono stati raccolti.
Nel breve volgere
di meno di un biennio non solo sono state ripubblicate le ormai introvabili
conferenze di Charles Mitchell, uno studioso del Warburg Institute, la prima
del 1951 e la seconda del 1968. Rieditate da Walter Raffaelli e tradotte e
curate da Moreno Neri nel dicembre del 2000, entrambe ipotizzano che l’adozione
della teologia neoplatonica nell’apparato iconologico derivi dalle relazioni,
dirette e indirette, con Pletone. Ma anche, due mesi dopo, si pubblica, sempre
dal medesimo editore e con il medesimo traduttore e curatore, la prima versione
italiana del De differentis, il trattato di Giorgio Gemisto Pletone citato in ogni
manuale di storia della filosofia, che aprì nel Rinascimento l’aspra polemica
tra aristotelici e platonici e i conseguenti tentativi di riconciliazione tra
le due filosofie. Una traduzione del trattato, come ha scritto il quotidiano IL
FOGLIO, “corredata da uno spendente ritratto”
di Gemisto.
Il 16 giugno 2001 è stata la volta a
Montefiore Conca della mostra LA CONCA
DEL TEMPIO: Ezra Pound e Sigismondo Malatesta Installazione - Costruzione - Viaggio di Ugo
Amati e Simona Rinciari. L’inaugurazione della mostra attraverso la sua tavola
rotonda con Gillo Dorfles, Mary de Rachewiltz, Piero Sanavio, Luca Cesari,
Moreno Neri e gli artisti Ugo
Amati e Simona Rinciari (i cui atti presto saranno pubblicati), la presentazione del catalogo della mostra
edito da Scheiwiller assieme al libretto A LUME ACCESO edito dall’editore Raffaelli, e una delle opere di
Simona Rinciari dal titolo Fratelli in Platone (installazione filosofica con frammenti di
Plotino, Pletone, Giamblico; sedie in plexiglas, pietra bizantina, tavolo in
legno e ceramica) sono stati altrettanti atti di omaggio al filosofo “che si
reputa abbia dato inizio a un Rinascimento” [v. Ezra Pound, Guid
to Kulchur (1938), trad it. Guida
alla Cultura, Sansoni,
Firenze, 1986, 1989].
Con una
sincronicità astrologica, quasi un archetipo junghiano, anche ad Oriente
riappariva, dopo una lunga assenza, la stella di Pletone. Il 15 maggio 2001 il
Sindaco di Magoula-Mistrà inviava una lettera al suo collega di Rimini, con la
quale si chiedeva il gemellaggio tra le due città, la restituzione delle
spoglie del “principe dei filosofi del suo tempo” e si prospettava la
possibilità di un grande evento da inserire nell’ambito delle manifestazioni
culturali delle Olimpiadi del 2004. La notizia cominciava ad apparire sulla
stampa locale il 7 luglio. Da allora il nome di Pletone ha cominciato a
divenire sempre più familiare per la città che ne ospita le spoglie.
In ordine di
tempo, l’ultima iniziativa che ha riportato alla ribalta la memoria di Pletone
è stato il convegno di studi denominato “SIMBOLI
TRATTI DAI PIÙ OCCULTI PENETRALI DELLA FILOSOFIA — IL TEMPIO DEI MALATESTA — ermetismo
e platonismo nel Rinascimento” del 13 ottobre 2001, organizzato dal
Circolo “Giovanni Venerucci”. In tale occasione, su invito dell’associazione
culturale, sono stati a Rimini il sindaco del comune greco di Mistrà Stavros
Argitakos e il presidente della Libera Scuola di Filosofia “Plethon” di Mistrà
l’avvocato ed ex deputato Stratis Stratigis. Il convegno, per altro, si è
aperto con una comunicazione di Moreno Neri sul filosofo-guida di Sigismondo
Malatesta. L’evento è stato infine occasione per i due ospiti greci di
incontrare il Sindaco di Rimini e i rappresentanti della Curia riminese in
merito alla proposta di gemellaggio e alla restituzione, almeno simbolica, di
una “reliquia”, un frammento delle spoglie del loro più illustre concittadino.
In questo breve volgere di tempo
l’antica anima del Tempio, la dottrina di Pletone, i rapporti tra i Malatesta e
Mistrà, a partire dal matrimonio di Cleope Malatesta con Teodoro II Paleologo,
sono ritornati al centro dell’attenzione. Ne è spia la rassegna stampa ...
La perdita di Pletone.
Come è perché in questi
ultimi decenni, soprattutto nella città che ne ospita i resti, sia andata
dispersa la memoria di Pletone è argomento delicato, semplice e complesso al
tempo stesso. Occorre una traversata storica, opportunamente minimizzata, quasi
a volo d’uccello, per quanto possibile, e quindi relegata ai testi richiamati
nella bibliografia per chi volesse approfondire le chiavi dei temi qui
brevemente accennati.
Semplice, perché naturalmente c’è un
pregiudizio di fondo. In realtà il Tempio, come si diceva, nasce e ruota
intorno ad una filosofia e a un’idea centrale, che ha cambiato la storia
spirituale dell’Occidente. Quella pitagorico-platonica, in contrasto a quella
aristotelica, scolastica, ben presto adottata dalla Chiesa.
“Niente accade che non sia già
successo” avrebbe detto Pletone. Nel
529 Giustiniano sopprime l’insegnamento del platonismo e chiude l’Accademia
d’Atene, qualche decennio dopo volendo depurare il cristianesimo fa condannare
Origene e l’origenismo per il suo
eccessivo attaccamento alle dottrine platoniche.
Nove secoli più tardi, Pletone fonda la
sua Accademia di Mistrà. In vita e in morte subisce gli attacchi dei
“miliziani” della Chiesa d’Oriente e d’Occidente: rispettivamente Giorgio
Gennadio Scholarios, a partire dalle sue polemiche sulla superiorità di
Aristotele fino al rogo delle Leggi, ultima opera di Pletone, e Giorgio Trapezunzio da Trebisonda, anche
qui polemiche fino all’insistenza nel volere che le spoglie di Pletone, già
conservate nell’arca del Tempio Malatestiano, fossero gettate a mare. Mentre
Sigismondo di ritorno dalla sua campagna in Morea dava ricovero alle spoglie
dell’“altro Platone”, a Firenze Cosimo de’ Medici già restaurava l’Accademia,
incaricando Marsilio Ficino di tradurre e commentare Platone e i maestri del
platonismo. Ficino, il più fedele discepolo di Pletone il cardinale Bessarione,
Pico della Mirandola tenteranno di conciliare il pensiero cristiano con il
platonismo. Ma la stagione del Rinascimento si conclude con il rogo di Giordano
Bruno e le fiamme dell’Inquisizione.
Questa tendenza della
storia è curiosamente parallela a quella degli studi sul Tempio Malatestiano,
un edificio da sempre considerato come un punto di riferimento nella storia
dell’architettura. E’ il primo edificio ecclesiastico che al suo esterno
incorpora l’arco trionfale romano nel suo vocabolario strutturale, con un
chiaro debito all’Arco d’Augusto, l’arco trionfale più antico d’Italia,
anch’esso a Rimini. Pure l’interno è impressionante: brulica di una serie
elaborata di sculture e bassorilievi di Agostino di Duccio e dei suoi
collaboratori, e la sagrestia della cappella di San Sigismondo ospita un
bell’affresco di Piero della Francesca.
Già durante la vita di
Sigismondo la chiesa di San Francesco aveva risvegliato la discussione - a
partire dagli apprezzamenti di Pio II e dalla sua scomunica -, e nei secoli
seguenti suscitava un corpo crescente di commenti eruditi e antiquari. Ma fu
nel diciottesimo secolo che argomenti nuovi e correlati sul significato della
chiesa cominciarono ad apparire. Si evidenziava, ad esempio, che la chiesa non
fosse proprio del tutto una chiesa, almeno nel senso ordinario; che non fosse
solo un monumento alla dinastia Malatesta o alla fama di Sigismondo, ma che
l’edificio fosse stato progettato per commemorare l’amore di Sigismondo per
Isotta degli Atti. La prova cruciale addotta in sostegno di questa opinione era
la famosa sigla $, scolpita dovunque tra le decorazioni interne e esterne della
chiesa. L’interpretazione fu discussa lungo tutto il Settecento.
Ma la figura più responsabile nel
diffondere una nuova comprensione di Sigismondo fuori dall’Italia, come è noto,
fu il grande storico Jakob Burckhardt (1818-1897). La sua Civilization of
the Renaissance in Italy (1860) ha assegnato a Sigismondo uno stato esemplare
presentandolo come la figura suprema tra “i fautori dell’umanesimo”. Tradotta in francese (1876), italiano (1877) e inglese (1886), l’opera di Burckhardt ha messo Sigismondo al centro delle discussioni
intellettuali sulla natura della modernità e quindi sul significato di civiltà.
La visione di Burckhardt
veniva ricapitolata e trasformata in modi innumerevoli. Il popolare storico inglese John Addington
Symonds (1840-1893), autore di Renaissance in Italy (7 voll., 1875-86) vedeva la chiesa
di San Francesco come “a monument of ... the revived Paganism of the
fifteenth century”
e “one of the earliest buildings in which the Neopaganism of the Renaissance
showed itself in full force”; sebbene apparentemente una chiesa, non ha avuto “no room left for
God”. Ancor
più sfrontato fu Charles Yriarte, un giornalista e storico dell’arte francese,
che nella sua ponderosa opera Un Condottiere au XV Siècle – Rimini – Le
Lettres et les Arts a la Cour des Malatesta (Parigi,
J. Rotschild Ed.,1882, trad. it. Moreno Neri) non solo definiva Pletone “una
delle fiaccole dell’umanità”, ma affermava
che “entrando nel tempio per la prima volta, l’impressione è
profonda: … Da qualunque lato si posino gli occhi, essi si fermano su una ricca
decorazione piena di simboli e di allegorie. Qui, gli elefanti di marmo nero
dello stemma dei Malatesta sembrano curvati sotto il peso dei massicci pilastri,
nere cariatidi che danno all’architettura un aspetto esotico. Là, nella cappella
di San Sigismondo, il patrono del signore di Rimini, il re di Burgundia, nella
nicchia dove si eleva la sua statua, riposa su due elefanti simbolici; nelle
balaustre, nei timpani, nei fregi, negli archi, nelle chiavi di volta, nelle pietre tombali, nel
soffitto, sopra la vostra testa, nel pavimento, sotto i vostri piedi, è stato
scolpito l’emblema dei Malatesta, appeso il loro stemma o incise le loro divise
: la Rosa, le tre Teste e i Denti di sega. Tutto parla del signore di Rimini ;
e tutto, nello spirito e nella forma, respira l’antichità. Si direbbe che
l’anima delle cose antiche, lo spirito dei Greci, i loro miti, le loro credenze
e la loro filosofia abbiano ispirato e dettato queste allegorie e questi
simboli.” Enciclopedie, guide per
viaggiatori, novelle, drammi e studi eruditi hanno ripetuto per decenni tali
asserzioni. Così dal 1886 al 1929 ogni edizione dell’Encyclopaedia
Britannica, così le
notissime guide per il viaggio Baedeker, come pure i romanzieri popolari come
l’autore britannico Edward Hutton (Sigismondo Pandolfo Malatesta:
Lord of Rimini, J.
M. Dent & Co., 1906) o l’italiano Antonio Beltramelli (Un
Tempio d’Amore,
Palermo, 1912) hanno elaborato
ripetutamente questi motivi.
Il consenso forgiato da Yriarte circa
il paganesimo del Tempio e sulle implicazioni dell’eros platonico iniziava a
trovarsi sotto attacco circa nel 1910 per il lavoro di due studiosi riminesi,
Giovanni Soranzo (1881-1963) e Aldo Francesco Massèra, bibliotecario della
Gambalunghiana dal 1908 al 1928. Ma il tentativo più importante di indirizzare
gli argomenti avanzati da Soranzo e Massera faceva la sua comparsa nel 1924,
quando Corrado Ricci (1858-1934), un dotato studioso ravennate, pubblicava il
suo studio monumentale sulla chiesa di San Francesco. Anche gli studi
successivi degli studiosi locali mantengono questo cliché e ignorano
deliberatamente, con una sorta di spazientita incredulità, la concezione
neoplatonica che informa il Tempio, certamente derivata da Pletone. Muta la
temperie politica con il Concordato tra Stato e Chiesa, irrompe in Italia
l’estetica crociana, quasi sempre il committente degli studi è la Curia
riminese. Nasce una sorta di autocensura o, alla meno peggio, alcune informazioni
essenziali alla comprensione vengono seppellite in opere pluristratificate come
un reperto fossile, un frammento di un mondo ignoto.
Pesa inoltre su questa impostazione
della critica moderna, come un macigno, l’estetica crociana. Vogliamo ricordare
cosa scrisse Benedetto Croce, al fine di comprendere meglio i suoi
contemporanei epigoni? Scrisse che “decorazione vale semplicemente arte” e che “anche nei grandi cicli profani, tutti
giuochi, danze e idilli e trionfi bacchici, che paiono volere soltanto
lusingare i sensi e rapire l’immaginazione” il cercare in essi intenzioni e significati riposti “alimento allo
spirito, che solo la nostra indifferenza in proposito o la nostra ignoranza
impedisce di ricercare e scoprire”
potrà al massimo far scoprire la chiave astrologica di quella determinata opera
d’arte. Né il tetragono Croce né i suoi saldi eredi si fanno scalfire dalle
parole di Roberto Valturio o dalla tradizione che vuole che in un’opera d’arte
vi sia una lettura dei simboli. L’attenzione che vi era allora al contenuto e
all’allegoria dei simboli secondo Croce infatti “non conferma niente,
giacché non è da ammettere il principio che un critico contemporaneo giudichi
meglio di un critico posteriore, come non è da ammettere l’inverso…dividendosi
i critici non in contemporanei e posteriori, ma unicamente intendenti o no di
arte, sensibili o no al bello”. E
Croce appare soprattutto infastidito da quanti hanno “fame di allegorie e di
ritrovamenti del significato”,
irridendo gli stessi come “spiriti bizzarri e vanesi che par che immaginino
che, oltre la storia visibile, ce ne sia un’altra invisibile, la quale ad essi
è o sarà concesso svelare con lo stabilire sottili confronti, da loro
immaginati, tra i fatti: sicché i loro racconti storici prendono aria di
scoperte di cospirazioni e di intrighi ed essi di abilissimi investigatori o
piuttosto poliziotti.”. L’avversione
di Croce è soprattutto diretta verso Aby Warburg (1866-1929), il fondatore del
maggior istituto di studi rinascimentali e l’inventore del metodo d’indagine
“iconologico”.
Aby Warburg, infatti, partendo dalla
premessa dell’origine dell’opera d’arte come cooperazione tra committente e
artista e quindi frutto di un’azione reciproca, in assenza di una
documentazione storica su questo fecondo scambio, era giunto a questa
conclusione: “Dello scambio di sentimenti o pareri fra committente e artista
esecutore solo di rado qualcosa giunge al mondo esterno … sottraendosi in tal
modo perlopiù alla consapevolezza personale e storica. Bisognerà quindi, giacché
le deposizioni di testimoni oculari sono così difficilmente reperibili,
convincere di colpevolezza il pubblico coinvolgendolo nell’indagine mediante
prove indiziarie.”.
Secondo l’imperante
sistema crociano ogni opera che minacci di stroncare tale impostazione generale
viene accuratamente occultata. Appunto, come un reperto fossile. Quello “stile
di lavoro ispirato al metodo warburghiano”
che “predilige come oggetto di studio la riemersione delle tracce
mnestiche (miti, figure, simboli) nella memoria occidentale, in un campo di
indagine che si apre alle vibrazioni e alle risonanze culturali tra
Rinascimento, Antico e Contemporaneo” sarà
tuttora sbrigativamente cancellato come “le spericolate e selvagge
fantasie iconologiche”.
Ci voleva la sponsorizzazione di un
convegno dalla Massoneria (un’istituzione esoterica come la segreta Accademia
di Mistrà di Pletone, di scomunicati come Sigismondo) per dare un pugno nello
stomaco ai Trapezunzi e ai Gennadi d’oggidì. Ci si lustrava gli occhi per le foto patinate sui lussuosi
volumi dedicati al Tempio, li si aguzzava a cercare qualcosa su Pletone,
restandone delusi. Ci voleva davvero l’audace e tenebrosa Massoneria (ancora
con quell’immagine romantica di chiaro e scuro che già ben si attagliava a
Sigismondo) perché nel volgere di un mese il settimanale locale cattolico si
occupasse di Pletone, fino allora epurato, con due pagine in cui si schieravano
armi proprie ed improprie contro i discutibili esumatori di uno scheletro che
sarebbe stato meglio lasciare nell’armadio, e, naturalmente, s'invocavano appelli alla
vigilanza. Ma del resto è noto che è il fastidioso granello di sabbia che
insinuandosi nella conchiglia dell’ostrica fa la perla.
“Voglia Iddio che perisca la
risorgente setta platonica” pregava
allora Giorgio Trapezunzio da Trebisonda, mentre Scholarios (allora si poteva!)
bruciava le pagine del lavoro di decenni della reincarnazione di Platone, come
il cardinal Bessarione definiva il suo maestro di Mistrà. Non aveva dunque
davvero torto Pletone nel dire che : “I periodi del tempo recano e sempre
recheranno, in epoche fisse, identiche vite e identiche azioni, in modo che
niente e mai capitato di veramente nuovo e niente capita che non sia già
accaduto, e che non debba prodursi di nuovo un giorno”.
Ma lo studio e la ricerca sono arte oltre che mestiere, e la
loro chiave è la sincerità e l’onestà intellettuale, anche a costo di essere
esposti ad una nutrita salva di critiche o essere condannati a non far parte
del “salotto buono”. Il mondo è popolato di neo-aristotelici che sotto sotto
ambiscono tutti alla stessa cosa: vogliono che le cose siano viste come le
vedon loro … o che almeno si tenga la bocca chiusa su quello che altri vedono e
che se ne discosta. Sono tutti agenti della conservazione, non necessariamente
gentaglia, ma pericolosi per chi crede nella libertà intellettuale.
Ma nel frattempo il resto del mondo
andava e va avanti. Pound, Berenson e Stokes visitavano a Rimini il Tempio
Malatestiano negli Anni Venti. Il primo studiava forsennatamente il Tempio, le
pagine della sua copia di Yriarte alla fine erano costellate di 150 tra note e
annotazioni a margine; Bernard Berenson, un abile connaisseur rendeva famigliare ai facoltosi statunitensi il Tempio
di Rimini, mentre Adrian Stokes interpretava il monumento riminese con lo
sguardo di Pater e Ruskin attraverso le lenti della psicanalisi di Melanie
Klein.
C’erano, per fortuna, gli studi di Giovanni Gentile, di Bohdan Kieskowski,
di François Masai, di Cristopher Montague Woodhouse, di Eugenio Garin, di
Bernadette Lagarde, di Steven Runciman, di Cesare Vasoli e di James Hankins,
dedicati a Pletone. Gli strumenti dell’interpretazione iconologica non
restavano inerti: quindi dopo Aby Warburg, Jean Seznec, Charles Mitchell ed Edgar Wind, l’indimenticata
Frances Amelia Yates cominciavano a far capire e a far carpire qualche tratto
dell’Idea del Tempio e di Pletone. Non mancava la raffinatezza interpretativa
di André Chastel, di Maurizio Calvesi. C’è la diuturna costanza dei particolari
studi sul bizantinismo e su Bessarione di Silvia Ronchey. Troviamo James
Hillman e cogliamo il nesso tra i simboli antichi del Tempio e l’immaginazione
che ancora dimostrano quanto sia vana la fuga dagli dei. Si assiste ad un
recupero del platonismo anche da parte di Massimo Cacciari. Dal furore quasi
maniacale, à la manière de Edouard Schuré di Giuseppe Del Piano, si passa
all’eleganza fin troppo accurata di Elémire Zolla. Osteggiato per decenni per
la sua scelta politica, si ristudia Pound e attraverso Caterina Ricciardi e
Demetres Tryphonopoulos si riscopre Pletone e le radici rinascimentali dei
Cantos.
Quel che è certo è che, dopo di essi, si può
ricominciare a parlare di Pletone e del Tempio che ne ospita le ceneri in
ottiche differenti da quelle alle quali si è abituati in questi ultimi decenni
ed inizia a farsi strada, in quanti sono ancora dotati di coraggiosa
intelligenza e di perspicacia, il bisogno di altri modi di conoscenza e di
altri sistemi di interpretazione da quelli consueti nei quali si riscontrano
molte banalità e molti luoghi comuni interpretativi oppure molte chiusure
preconcette, rigide e artificialmente delimitate.
Il ritorno di Pletone.
Il 26 giugno 1452, era
un lunedì, alla prima luce del giorno a Mistrà, moriva, quasi centenario,
Giorgio Gemisto Pletone.
Anche se l’arrivo dei Greci e di
Pletone non è il solo medium
che fa nascere un nuovo corso nella storia dell’Occidente, anche se non si
vuole accettare in toto
l’affermazione di Marsilio Ficino che fa scaturire dagli “appassionati
discorsi intorno ai misteri platonici”
del già vecchio Gemisto l’origine dei nuovi interessi filosofici, a
cinquecentocinquanta anni di distanza dalla morte del filosofo di Mistrà, la
città che ne ospita le vestigia terrene non può tuttavia dimenticare la
definizione di “epocale” di
Eugenio Garin a proposito dell’arrivo dei Greci, in occasione del Concilio
fiorentino, e sul ritorno dei filosofi antichi e delle idee che allora
cominciarono a circolare e a diffondersi in una cultura d’altra parte già
predisposta ad accoglierle e che da tempo mirava a recuperare i risultati delle
tradizioni filosofiche antiche, nella loro irriducibile diversità e ricchezza.
Ma, aldilà della ricorrenza, d’altra parte questo
ciclo di conversazioni vuol essere la prima condizione, in ordine temporale e
causale, da compiere, se si intende da un lato determinare il posto che spetta
esattamente a Giorgio Gemisto Pletone nella storia del Rinascimento e
dall’altro apprestare nuove e feconde comparazioni con il platonismo di Mistrà.
Né si potrà attendere che la corporazione dei neo-aristotelici lo sequestri per
sè. Gemisto fu il filosofo totale, il vero aristotelico di nessuna scuola
aristotelica, il nemico dei sofisti, il libero ricercatore della verità. Gli
storiografi che oggi finalmente s’occupano di Pletone, ieri in compagnia di
Trapezunzio ne avrebbero sentenziato l’empietà, perché è loro ufficio non
promuovere la conoscenza, ma irrigidirla e canonizzarla. Perciò i discendenti
dei sapienti che avversarono il riformatore di Mistrà e con Scolario gioirono
del rogo dei manoscritti, oggi non sapendo come fargli offesa lo vorrebbero
incarcerare nelle loro cattedre ed ipotecarlo per le loro dispense di esame.
C’è un Pletone però che non appartiene ai sofisti di professione, agli studiosi
salariati, ma è di tutti gli uomini colti e che cercano appassionatamente la
verità e la felicità.
Non può infatti essere esorcizzata,
come è accaduto durante la sua vita con le polemiche di parte latina ed
ortodossa fino al rogo delle Leggi, come nuovamente è accaduto
a Rimini nel corso di tutti questi
anni, la figura di un filosofo che, di fronte alla decadenza dell’impero
bizantino, aveva trovato nelle dottrine platoniche e neoplatoniche, nei mitici
scritti zoroastriani e pitagorici il fondamento di un radicale programma di
rinnovamento politico e religioso, di una rinascita della più antica sapienza
che fosse, al contempo, l’inizio di un nuovo tempo dell’esperienza umana.
Convinto che solo la più chiara e assoluta conoscenza della verità potesse
trarre gli uomini dalla confusa incertezza e dal contrasto di opinioni
dogmatiche, Gemisto si richiamava ad un antichissima verità, comune a tutto il
genere umano e pura da ogni contaminazione e tale tradizione illustrava in una
dottrina, che certo doveva restare necessariamente esoterica, con la sua concezione
di un universo immutabile ed eterno, con la sua idea dell’anima umana,
immortale e celeste e, in quanto tale simile agli dei e capace di congiungersi
ad essi. E al fondo del suo pensiero restava la previsione del ritorno
all’unità originaria di ogni sapere, chiuso il tempo funesto delle divisioni,
dei dogmi e delle credenze, che trovasse la sua espressione nel culto comune
dell’eterno universo divino. Non vi è dubbio che di simili idee, anche se la
previsione di Gemisto non s’è avverata nei termini temporali sperati, esorbitanti l’ecumenismo e l’irenismo e
lo stesso mito chiliastico dell’apocalisse, resti visibile la traccia anche ai
nostri giorni e che il nucleo di queste concezioni continui a restare il tema
ispiratore di una meditazione appassionata da parte di diversi pensatori
contemporanei.
Dunque ciò che ci si propone è una
prima ricerca, ad ampio raggio, sprovincializzata, delle caratteristiche del
Maestro di Mistrà. Ma, come si accennava, non è evidentemente sufficiente
radunare i risultati acquisiti dai lavori anteriori, che per altro come si è
mostrato non hanno ricevuto nella nostra città in questi ultimi decenni
menzioni particolari. Occorre anche verificare, riprendere, rifinire i
risultati ad oggi conseguiti da ogni parte e porli in relazione al nostro
tempo. Per Pletone, filosofo ma anche astrologo, come per Sigismondo, il
sistema filosofico non era una costellazione di stelle fisse, senza rapporto
con le vicissitudini del nostro mondo sublunare, ma il suo segno distintivo era
un’unione intima e continua tra pensiero e vita, un impegno costante nella
trama della storia.
“La saggezza, in effetti, si contrae
in poche parole e tratta poche cose; perché riguarda i princìpi dell’essere e
chiunque li abbia afferrati alla perfezione, sarà capace di giudicare bene
quanto possa venire alla conoscenza dell’uomo…” affermava Pletone. Quale fosse una di queste poche
parole la troviamo descritta nel primo capitolo sopravvissuto delle Leggi: felicità. A questo scopo tutti gli uomini tendono, e
questa tendenza è la sola comune a tutti gli uomini. Se intesa correttamente come virtù (e non come ricchezza o
piacere o gloria) alla base di essa sta la conoscenza, la forma più alta
d’amore.
In conclusione, con amore lo
ricorderemo restituendolo alla cultura e al linguaggio di questo secolo. Perché
il dovere che abbiamo è soltanto cercare di riscriverne la storia attraverso
queste conversazioni. Con questi nostri “magnis propositis praemiis ad hanc urbem incolendam” così come ricordava Mario Filelfo aver fatto Sigismondo
in vita “Gemisti Peloponnesiaci philosophi”lo reinviteremo nella Rimini contemporanea.
Ah
ritorna, età dell’oro,
Alla
terra abbandonata,
Se
non fosti immaginata
Nel
sognar felicità.
Pietro Metastasio
Age of Gold, I
bid thee come
To this Earth,
was erst thy home!
Age of Gold, if
e’er thou wast
And
art not mere dream laid waste!
versione di Ezra Pound
INTORNO AL RITORNO DI PLETONE
GIORGIO GEMISTO PLETONE E I MALATESTA
SILVIA RONCHEY
EZRA POUND E PLETONE
MARY DE RACHEWILTZ, CATERINA RICCIARDI,
DEMETRES
TRYPHONOPOULOS
MISTERI PAGANI NEL TEMPIO MALATESTIANO
MONICA CENTANNI
IL PERCORSO DELL’ANIMA PLATONICA NELLA VISIONE CRISTIANA:
LUCE E ACQUA
MARCO CAMPIGLI
DA ZOROASTRO A PLETONE: LA PRISCA SAPIENTIA.
PERSISTENZA
E SVILUPPI.
ANTONIO PANAINO
PLETONE
E IL MITO DEL PAGANESIMO
MARCO BERTOZZI
RINASCITA PLATONICA E
POLEMICHE ANTIARISTOTELICHE TRA QUATTROCENTO E CINQUECENTO
CESARE VASOLI
PLETONE
E IL TEMPIO DI SIGISMONDO: IL FILOSOFO SINCRETICO E LA FILOSOFIA PERENNE
ELÉMIRE ZOLLA o
GRAZIA MARCHIANO’
PLETONE:
DALLA MAGIA ALLA SCIENZA
PAOLO ROSSI
ARISTOTELISMO E PLATONISMO
NEL VINCOLO DELLA POLITICA
MASSIMO CACCIARI
IL RITORNO DEGLI ANTICHI DEI
FRANCESCO DONFRANCESCO, JAMES HILLMAN
PROFILO
BIO-BIBLIOGRAFICO DEI RELATORI INVITATI AL CICLO D’INCONTRI
“INTORNO AL RITORNO
DI PLETONE”
SILVIA RONCHEY, insegna Storia Bizantina all'Università di Siena. Collabora alle pagine
culturali della Stampa. Scrive su Tuttolibri, dove tiene una rubrica,
“Cl@ssici”, sui classici in libreria e in Internet. E' autrice di programmi
culturali per la Rai. Pubblica libri e saggi sulla Decadenza romana e
bizantina, essendo tuttavia convinta che i veri decadenti (o decaduti) siamo
noi contemporanei. Ha pubblicato la vita del Buddha bizantino (Vita
bizantina di Barlaam e Ioasaf, Rusconi
1980), la Cronografia di Michele Psello (Imperatori di Bisanzio, Mondadori/Fondazione Valla 1984 ) e gli Acta Martyrum
greci (Atti e passioni dei martiri, Mondadori/Fondazione
Valla 1987). Ha scritto saggi su Eustazio di Tessalonica, su Giovanni Damasceno
e l'iconoclasmo, su San Policarpo, sulla filosofa Ipazia, su Bessarione. Con
Alexander Kazhdan ha scritto L'aristocrazia bizantina (Sellerio 1999, nuova
edizione con postfazione di Luciano Canfora) e con James Hillman ha pubblicato L'anima
del mondo (Rizzoli 1999) e Il
piacere di pensare (Rizzoli 2001).
La
sua più recente produzione scientifica (Bisanzio veramente “volle cadere”?
Realismo politico e avventura storica da Alessio I Comneno al Mediterraneo di
Braudel, “Quaderni di Storia” 52
[luglio/dicembre 2000], pp. 137-158; La Realpolitik bizantina rispetto
all'Occidente dall'XI al XV secolo,
in Purificazione della memoria. Convegno storico [Arezzo, Palazzo Vescovile, 4-11-18 marzo 2000],
Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro / Istituto di Scienze Religiose, Arezzo
2000, pp. 173-186; e soprattutto Malatesta/Paleologhi. Un'alleanza dinastica
per rifondare Bisanzio nel quindicesimo secolo, “Byzantinische Zeitschrift” 93 [2000], fasc. II) si
è rivolta al XV secolo, allo studio dell'influsso degli ultimi emigrés bizantini in Italia sulla cultura e sull'arte del
primo Rinascimento e a quel piano di "salvataggio occidentale" di
Bisanzio, che dietro influsso di Bessarione coinvolse il papato e le signorie
italiane negli anni immediatamente successivi la caduta di Costantinopoli.
MARY DE RACHEWILTZ, figlia di Ezra Pound e della violinista Olga Rudge,
è autrice di numerosi volumi di poesia e di Discretions, un libro di memorie su suo padre, e traduttrice in
italiano dei Cantos e delle altre
opere di Ezra L. Pound. E’ curatrice dell’ Ezra Pound Archive, Center for the
Study of Ezra Pound and His Contemporaries, Beinecke Rare Book Room and
Manuscript Library della Yale University. Vedova
da qualche anno di Boris de Rachewiltz, un principe di origine russa noto Egittologo,
sposato nel 1946, anno in cui il padre fu deportato nel Stati Uniti per
l’accusa di tradimento. Vive dagli anni cinquanta nel castello medievale di
Brunnemburg, vicino a Merano, dove nel 1958 Pound visse, dopo la liberazione
dal manicomio di St. Elizabeth, fino alla sua morte nel 1972. Oltre che
traduttrice delle opere di Pound e di altri autori inglesi e americani, è una
raffinata studiosa dell’opera poundiana sulla quale ha tenuto innumerevoli
conferenze in America, Europa e Giappone. Il legame di Pound con Rimini è noto:
negli anni venti vi trascorse molto tempo a visitare e studiare il Tempio
malatestiano, dedicandovi i Cantos dall’VIII all’XI, e appena tornato in Italia
ritornò a Rimini a vedere il “suo” Tempio. Pletone è citato più volte nei Cantos e in Guide to Kulchur.
CATERINA RICCIARDI è Ordinario di Letteratura anglocanadese e
Direttore del Dipartimento di Studi Americani dell’Università di Roma Tre. I
suoi interessi si sono rivolti ai maggiori rappresentanti del modernismo
americano (W. Stevens, W. Faulkner, O. Barnes, W.C. Williams, E. Carnevali) e
all’Ottocento (W. Whitman, J.F. Cooper). Si è occupata inoltre di letteratura
canadese (N. Frye, I. Layton, M. Atwood e M. Laurence) e di letteratura inglese
(F.O’Brian, M. Lowry e A.B. Jameson). Ha curato Poesia Canadese del
Novecento (Napoli,
Liguori, 1986)- Premio Leone Traverso-, Conferenze americane di Gertrude Stein (Roma,
Lucarini, 1990) e Idee
Fondamentali di
Ezra Pound (Roma, Lucarini, 1991), una scelta degli articoli pubblicati dal
grande poeta americano nel “Meridiano di Roma” fra il 1939 e il 1943. E’ stata
inoltre co-curatrice di Parole sull’acqua. Poesie del Canada anglofono e
francofono
(Empirìa, Roma, 1996), di Acqua.Realtà e Metafora (Semar, Roma, 1998) e di Voci
dagli stati Uniti. Prosa, poesia e teatro del secondo Novecento (Semar, Roma, 2000).Ma è
soprattutto attraverso EIKONEΣ: Ezra Pound e il Rinascimento Liguori, Napoli, 1991), il primo tentativo di lettura dei Cantos come un grande affresco del
Rinascimento italiano, in cui umanesimo e classicismo s’intrecciano con il
neoplatonismo, che l’interesse di Pound per la cultura delle immagini e la loro
resa poetica viene indagato anche nell’ambiente inglese — vittoriano e
preraffaellita —della seconda metà dell’Ottocento, con particolare riguardo a
Walter Pater e ai suoi discepoli, mentre a Robert Browning si fa risalire un
certo modello del poema lungo. Nel libro l’attenzione rivolta nei Cantos a dipinti di Botticelli, Piero
della Francesca, Jacopo del Sellaio, Pisanello, Cosmè Tura, Francesco del
Cossa, Tiziano, Tintoretto, Veronese, come pure alle sculture di Agostino di Duccio,
è studiata con un approccio iconologico, individuando nell’ékphrasis la figura retorica guida. Anche
grazie all’individuazione e alla rivalutazione di fonti trascurate, l’intera
concezione del poema e passi generalmente ritenuti oscuri o di difficile
lettura ricevono così nuova luce, in un’ampia ricostruzione che è un originale,
sicuro contributo alla critica poundiana.
DEMETRES TRYPHONOPOULOS, nato a Tripolis in Grecia, si è
trasferito in Canada nei primi anni settanta. Si è laureato nel 1986 all’University
of Westem Ontario con il professor Leon Surette. Attualmente è titolare della
cattedra di Letteratura Americana all’Università del New Brunswick. Ha
scritto, fra l’altro, saggi sui rapporti tra occulto e modemismo ed ha curato
l’epistolario fra Olivia Rossetti Agresti ed Ezra Pound. E’ autore di THE CELESTIAL TRADITION : A STUDY OF EZRA POUND’S “THE
CANTOS” (trad. it. POUND E L’OCCULTO – LE RADICI ESOTERICHE DEI CANTOS, Edizioni Mediterranee, Roma,
1998). Partendo dall’assunto noto dell’ influsso di scuole esoteriche e di
dottrine occulte in molti importanti poeti e scrittori del Novecento, come
Yeats e Eliot, e basandosi su fonti d’archivio inedite e sull’approfondimento
di materiale già conosciuto, questo libro ricostruisce i forti legami che
unirono Pound con famosi occultisti dell’inizio del secolo, come Allen Upward,
Alfred Orage, G.R.S. Mead e, ovviamente, W.B. Yeats. Le teorie esoteriche sono
un elemento fondamentale nell’evoluzione della straordinaria sensibilità
estetica e spirituale di Pound. Nell’opera che si divide in due parti - nella
prima viene analizzato l’interesse del poeta americano per alcuni movimenti
esoterici dell’epoca e viene ricostruita la tradizione dell’occultismo
ellenistico da Eleusi ai giorni nostri; nella seconda, viene proposto uno
schema di lettura dei Cantos visti come un vero e proprio percorso iniziatico per
il lettore che, affrontandolo, deve superarlo per accedere alla sua completa
comprensione- la figura di Pletone come “anello della catena della Tradizione celeste” ha
ampio spazio.
MONICA CENTANNI, dottore di ricerca in Filologia greca e latina,
docente in Conservazione dei Beni artistici presso il dipartimento di
Conservazione dei Beni Culturali dell’Università Ca' Foscari di Venezia.
Grecista, si occupa in particolar modo di drammaturgia antica e di storia della
tradizione classica. Ha curato i I
sette contro Tebe di Eschilo (Marsilio, Venezia, 1995). Tra
le sue più recenti pubblicazioni Metro, ritmo e parola nella tragedia greca (Argo, Lecce ,1996), Atene assoluta : Crizia dalla tragedia alla storia (Esedra, Padova, 1997). Co-autrice di Il gesto nel
rito e nel cerimoniale dal mondo antico ad oggi (Ponte alle Grazie, 1995) e di Gli occhi di
Alessandro: Potere sovrano e sacralítà del corpo da Alessandro Magno a
Ceausescu (Ponte alle Grazie, 1990), Lo straniero interno (Ponte alle Grazie, 1993) Atene
assoluta (Padova, 1997). Ha inoltre
curato la prima traduzione italiana del Romanzo di Alessandro, Torino 1991. Nell’ambito della tradizione classica
ha pubblicato: Velare, svelare: dai misteri pagani a Le età della donna di Hans Baldung Grien, nel volume Il gesto, Ponte alle Grazie 1996; Soggetti classici nelle
cantate di Benedetto Marcello, Lugano
1997;Guerra e morte fraterna: il mito storico romano nelle tele di
Giovanbattista Tiepolo per i Dolfin,
in Giambattista Tiepolo nel III centenario della nascita a cura di L. Puppi, Venezia 1998; Icone delle
Storie dell’Antico testamento di Hans Holbein il giovane, in La Bibbia perduta, Firenze 1998; Nostos, Memoria dell’antico in
Dimitrio Pikionis, in Dimitrio
Pikionis (a cura di A. Ferlenga),
Milano 1998; "..delirante, disprezzato, deluso, acceso amante":
variazione su temi classici in alcune cantate inedite di Antonio Caldara, in Musica e Storia VII, 2, 1999. Ha in corso di pubblicazione il saggio La
cultura greca nella tradizione occidentale: dalla tarda antichità alla
riscoperta umanistica in I Greci.
Storia cultura arte società, a cura
di S. Settis, Torino; e il volume sulla tradizione classica nel Rinascimento Fantasmi
dell’antico. E’ inoltre coordinatrice
del sito www.engramma.org: un laboratorio di ricerca e di applicazione del
metodo di Warburg intitolato Engramma la tradizione classica nella Memoria
occidentale, Rivista virtuale sulla
storia della tradizione classica nell'arte europea promossa da Fondazione
Querini Stampalia e Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha tenuto conferenze
nell’edizione ‘96 del ciclo “Cosa fanno oggi i filosofi?” a Cattolica e nello
stesso anno a Riccione al ciclo “Vicino Oriente e Mediterraneo”.
MARCO CAMPIGLI, autore di Luce e marmo. Agostino di Duccio (Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1999). Si tratta di
uno studio iconologico, un tentativo di comprendere il significato originario
delle immagini del Tempio Malatestiano e dell’opera di Agostino Di Duccio, dove
è l’insegnamento di Erwin Panofsky, e dove molto è lasciato all'intuizione
sintetica dello studioso a scapito di un più oggettivo rigore interpretativo
Questa chiesa può essere infatti definita un discorso filosofico in immagini.
In esso si parla di morte, di gradi della conoscenza, di purificazione
progressiva dell'anima che anela a Dio. E si parla anche di Sigismondo, il
giusto governante, e della sua anima, che risalendo i gradi verso Dio
guadagnerà la salvezza eterna perché la sua azione terrena si svelerà specchio
della giustizia divina. Attraverso gli scritti di Plotino, Sant’Agostino e
Dionigi l’Areopagita, nasce una comprensione che fonde filosofia e teologia e
che condiziona tutta l’arte del Quattrocento. Siamo in un ambito in cui si
seguono soprattutto pensieri neoplatonici. Attraverso il Tempio si arriva forse
a intravedere l’ombra della ricerca di una concordanza universale fra sapienza
e religione, filosofia e fede, secondo un mito culturale assai diffuso a quegli
anni.
ANTONIO
PANAINO,
Docente di Filologia iranica, Direttore del Dipartimento Storie e Metodi per la
conservazione dei Beni Culturali della Scuola di specializzazione in
Archeologia dell’Università di Bologna (sede di Ravenna). Coordinatore del Progetto Storia delle Scienze antiche
e orientali dell’Is.I.A.O (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente) e dirige
la Collana di Studi Orientali delle edizioni Mimesis di Milano. E’ autore di Tistrya (Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente, 1990-1995), Tessere il cielo. Considerazioni sulle
Tavole astronomiche, gli Oroscopi e la Dottrina dei Legamenti tra Induismo,
Zoroastrismo, Manicheismo e Mandeismo (1998), del romanzo.Il
tacco rosso (Mimesis, Milano, 1997), de La novella degli scacchi e della tavola
reale. Una antica fonte orientale sui due giochi da tavoliere più diffusi tra
tardoantico e curatore di
Vendidad, legge di abiura di tutti i demoni dell’Avesta zoroastriano (Mimesis, Milano). E’ inventore del nome e del
progetto MELLAMU (la divina radianza, l’aura nell’antico accadico-sumerico)
sull’eredità intellettuale dell’Assiria e di Babilonia in Oriente e in
Occidente, il cui primo congresso internazionale si è tenuto nell’ottobre 2001.
Co-curatore degli Scritti sulla Storia dell'Astronomia antica di Giovanni Schiaparelli (Mimesis, Milano, 1997). Co-autore di L’astrologia e la sua
influenza nella filosofia, nella letteratura e nell'arte dall’età classica al
rinascimento (Nuovi Orizzonti,
Milano).
MARCO BERTOZZI, è professore associato di Filosofia della Storia
all’Università di Ferrara. Si è occupato, nel corso delle sue ricerche, della
concezione della storia in Adam Smith (Filosofia ed economia in Adam Smith ; I quattro stadi della storia della civiltà, Ferrara, 1977) e del rapporto tra storia, filosofia
e teologia nel pensiero di Thomas Hobbes (L’enigma del Leviatano, Ferrara, 1983). Si è poi interessato di filosofia
del Rinascimento, svolgendo specifiche ricerche sulla tradizione astrologica,
intesa come ermeneutica della storia (La tirannia degli astri, Bologna, 1985; Il fatale ritmo della storia, in “I Castelli di Yale”, 1,1996). Attualmente sta completando alcuni studi
su storia universale e geografia (da Hegel alla geopolitica) e sulle fonti
filosofiche della Melencolia I di Dürer. Nel 1998 ha curato a Ferrara, promosso
dall’Istituto di Studi Rinascimentali, un convegno su Aby Warburg, dal titolo Aby
Warburg e le metamorfosi degli antichi dei, tenutosi a settembre.
CESARE VASOLI, Università di Firenze e Accademico dei Lincei, è uno
dei massimi studiosi italiani della filosofia rinascimentale.
ELÉMIRE
ZOLLA, nato nel 1926, anglista, è
stato per lungo tempo Ordinario all’Università La Sapienza di Roma, è scrittore
e saggista tra i più noti. I suoi libri sono pubblicati dai più importanti editori:
Adelphi, Einaudi, Marsilio, Red, ecc.
Tra le sue numerose opere qui ricordiamo solamente, per i riferimenti a
Pletone e al Tempio Malatestiano, Le Meraviglie della Natura – Introduzione
all’alchimia (Marsilio, Milano,
1991), Uscite Dal Mondo (Adelphi,
Milano, 1992) e Incontro con l’androgino (Red, Como, 1995).
GRAZIA MARCHIANÒ, moglie di Elémire Zolla, Libera Docente in Estetica
(Università di Roma, 1971), perfezionatasi all'Università Tagore di
Shantiniketan (India) in Estetiche e Filosofie dell'Asia Orientale, ha
insegnato Estetica, Storia dell'Arte Orientale e Filosofie e Religioni
dell'Asia Orientale nelle Facoltà di Lettere delle Università della Calabria,
di Genova, e nella Scuola di Perfezionamento in Filosofia dell'Università di
Roma "La Sapienza". Trasferita all'Università di Siena (sede di
Arezzo) quale professore associato di Estetica, dal 1993 è professore ordinario
di Estetica e professore supplente di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente da
quando è stato attivato il Corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali
ed Ambientali.
I suoi corsi di Estetica coprono le
aree: estetica teorica, istituzioni di estetica comparata, estetica
transculturale. I suoi corsi di Storia e Civiltà dell'Estremo Oriente coprono
le aree: arte e pensiero indiano, arte e pensiero giapponese, arte e pensiero
cinese, filosofie e religioni dell'India e dell'Estremo Oriente. Dal 1994
organizza con docenti di madrelingua un corso libero di lingua e cultura
giapponese nel mese di febbraio. Negli ultimi cinque anni ha promosso e
coordinato lezioni, conferenze e seminari anche in collaborazione con la
Biblioteca Città di Arezzo e l’Accademia Petrarca di Arti, Scienze e Lettere,
tenuti da specialisti e studiosi di chiara fama italiani e stranieri. Nell'A.A.
1990-1991 ha invitato per contratto il fu Prof. I. P. Coulianu dell'Università
di Chicago a tenere un corso trimestrale sul “Mito del Faust nel pensiero
occidentale antico e moderno”. È rappresentante di Facoltà nella Commissione
rapporti con l'Estero. È responsabile per la sezione Scienze Umane, Arti e
Letterature del progetto bilaterale con l'Università di Kyoto: Kyoto-Siena
Symposium (KSS), ha organizzato e
coordinato il I e il III KSS all'Università di Siena (1991-1995), e coordinato
i lavori del gruppo senese al II e IV KSS all'Università di Kyoto. Per conto
della Commissione Rapporti con l'Estero organizza nella primavera 1998 il ciclo
di conferenze: Progetto Asia, con docenti specialisti delle aree: cinese,
giapponese, coreana. E’ membro del Comitato scientifico del Centro Studi sulla
metafora poetica diretta dal Prof. I Deug-Su. Ha costituito nel 1993 il LORO,
International Study Group for Comparative Aesthetics promuovendo ricerche e pubblicazioni di estetica
transculturale. Già Segretario dell'Associazione Italiana per gli Studi di
Estetica (A.I.S.E.), copre dal 1993 la carica di Presidente. Dallo stesso anno
è Direttore Responsabile del Bollettino AISE semestrale. Dal 1995 è Vice-Presidente dell'International
Association for Aesthetics (IAA/AIE),
e rappresentante dell'Associazione italiana presso l'IAA/AIE. Dirige progetti
di ricerca MURST e CNR in ambito locale e nazionale. Tra le sue principali
pubblicazioni: Il codice della forma,
Bari 1968; L'armonia estetica. Lineamenti di una civiltà laotziana, Bari 1973; La parola e la forma, Bari 1977; La creatività. Le basi poetiche della
mente, Milano 1987; La cognizione
estetica tra Oriente e Occidente,
Milano 1987; Sugli orienti del pensiero. La natura illuminata e la sua
estetica, Messina 1994 (Premio
Internazionale "Giardini di Hanbury" 1995). Ha curato e introdotto i
volumi: Le grandi correnti dell'estetica novecentesca, Milano 1991 (Atti trilingui dell’omonimo Convegno
Internazionale da lei organizzato all'Università di Siena in collaborazione con
l'AISE nel 1990); Estetica e modernismo in Cina, Messina 1993; Scritti italiani su N. K. Roerich, Messina 1993; La scuola di Kyoto (Kyotoha), Messina 1996; Filosofia del peso. Estetica della
leggerezza, Messina 1997; Natura e
artificio nel mondo della vita, Siena
1992 (Atti del 1° KSS); Umanesimi
a confronto, Firenze 1994 (Atti del
3° KSS).Nei Quaderni di Dipartimento "Lavori in corso" ha
pubblicato il saggio: La marcia siderale del libro e il congedo della
scrittura (1992). Nel volume: Terra
Natura Storia. Scritti filosofici,
Messina 1996 ha firmato il saggio: "La mente naturale". Dal 1993
dirige presso l'Editore Rubbettino la collana "Saggi brevi di estetica
comparata", in cui fino al 1997 sono usciti sette volumi. Dal 1995 dirige
presso gli Istituti Editoriali Internazionali, Pisa-Roma, la collana "Il
loto e la rosa", nella quale ha curato ed introdotto i volumi: La
rinascenza orientale nel pensiero Europeo. Pionieri lungo tre secoli (1996) e l'opera in inglese: East and West in
Aesthetics (1997). Ha redatto note
introduttive ai volumi collettanei: La natura tra Oriente e Occidente, Luni, Milano 1996; La polifonia estetica, Guerini 1996; Il paesaggio dell'estetica, Trauben 1997. Nel 1997 ha scritto
l'"Introduzione" al testo di A. K. Coomaraswamy, Tempo e Eternità (Ed. Luni, Milano), l'"Introduzione" al
volume di A. Danielou, Miti indiani
(RED, Como) e ha pubblicato il saggio "Vie alla consapevolezza dell'arte
naturale" nel volume collettaneo curato da G. Sanna e A. Capasso Orienti
e Occidenti. Confronti e corrispondenze tra mondi e culture, Edizioni Fahrenheit 451, Roma. Nel corso della sua
attività pubblicistica ha firmato prefazioni e saggi per gli Editori: Rusconi,
Rizzoli, Luni, Red, Guerini, Stile Regina. Guest-Editor delle riviste: New
Observations (New York), Journal of Aesthetics and Literature, (Jambalpur,
India). Ha partecipato ai Convegni
Internazionali dell'IAA/AIE dal 1991 con relazioni pubblicate nei volumi degli
Atti. Guest-Lecturer all'Università di Tokyo nel 1994. Nel 1997 ha
co-organizzato all'Università di Sydney la "Pacific Rim Conference in
Transcultural Aesthetics" e la sua relazione introduttiva è stata
pubblicata nel volume degli Atti (edizione elettronica). Nello stesso anno è
stata Guest-Speaker nelle Università di Oxford e Eotvos Lorand, Budapest.
PAOLO ROSSI, è nato a Urbino nel 1923. Si è laureato a Firenze
con Eugenio Garin. Nel 1947, sempre con Garin, ha conseguito il diploma di
perfezionamento in Studi Filosofici. Dal 1950 al 1959 è stato, a Milano,
assistente di Antonio Banfi. Libero docente in Storia della Filosofia nel 1954,
è stato professore incaricato di Filosofia della Storia nella Facoltà di
Lettere dell’Università di Milano dal 1955 al 1961. Ordinario di Storia della
Filosofia dal 1961, ha insegnato nelle Università di Cagliari e di Bologna e,
dal 1966, nell’Università di Firenze. Nel 1959 ha conseguito un “Research
Grant” presso il Warburg Institute della London University. Nel 1970 è stato
“Visiting Fellow” presso il Wolfson College della Università di Cambridge. Nel
1972 è stato eletto membro del Comitato 08 del Consiglio Nazionale delle
Ricerche e rieletto nel 1977. Dal 1980 al 1983 è stato Presidente della Società
Filosofica Italiana e, dal 1983 al 1990, presidente della Società Italiana di
Storia della Scienza. Nel 1981 è stato eletto Socio Corrispondente della
Accademia Pontaniana di Napoli. Nel 1985 gli è stata conferita dalla “History
of Science Society” (U.S.A.) la “Sarton Medal” per la Storia della Scienza. Nel
1988 è stato eletto Socio Corrispondente della Accademia Nazionale dei Lincei
e, nel 1992, Socio Nazionale. Dal 1989 è membro dell’Accademia Europea.
Il primo libro di Paolo Rossi Giacomo
Aconcio (Bocca, Milano, 1952) è
dedicato ad uno dei maggiori eretici italiani del Cinquecento. Studi
particolari ha dedicato anche a Vico. Ma il campo d’indagine in cui ha lavorato
più estesamente e fecondamente è la rivoluzione scientifica della modernità. I
suoi libri Francesco Bacone: dalla magia alla scienza (Laterza, Bari, 1957; II ed. Einaudi, Torino, 1974) e Clavis
universalis: arte della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz (Ricciardi, Milano, 1960; II ed. Il Mulino, Bologna,
1983) sono stati tradotti in inglese, francese, giapponese e spagnolo, mentre La
nascita della scienza moderna in Europa
(Laterza, Bari-Milano, 1997) è stato tradotto in inglese, francese e spagnolo.
Inoltre ha scritto: I filosofi e le macchine: 1400-1700, Feltrinelli, Milano, 1962; Le sterminate
antichità: studi vichiani,
Nistri-Lischi, Pisa, 1969; Storia e filosofia: saggi sulla storiografia
filosofica, Einaudi, Torino,
1969-1974; (in collaborazione con G. Luti) Le idee e le lettere, Longanesi, Milano, 1976; Immagini della scienza, Editori Riuniti, Roma, 1977; I segni del tempo:
storia della Terra e delle Nazioni da Hooke a Vico, Feltrinelli, Milano, 1979; I ragni e le formiche:
una apologia della storia della scienza,
Il Mulino, Bologna, 1986; La scienza e la filosofia dei Moderni: aspetti
della rivoluzione scientifica,
Bollati Boringhieri, Torino, 1989; Paragone degli ingegni moderni e
postmoderni, Il Mulino, Bologna,
1989; Il passato, la memoria, l’oblio, Il Mulino, Bologna, 1991; (in collaborazione con V. Ferrone) Lo
scienziato nell’età moderna, Laterza,
Bari, 1994; Naufragi senza spettatore: l’idea di progresso, Il Mulino, Bologna, 1995 e Le origini delle
scienze europee (Laterza, 1997). Ha
diretto per la UTET una Storia della scienza moderna, Torino, 1988. Per la stessa casa editrice ha diretto
il trattato in quattro volumi, La filosofia, Torino,1995. Ha inoltre pubblicato circa duecento
saggi e articoli su riviste italiane e una ventina su riviste straniere. Ha
avuto il premio Viareggio per la saggistica nel 1992. Nel 1985 gli è stato
conferito il massimo riconoscimento dalla History of Science Society.
MASSIMO CACCIARI, filosofo, è Ordinario di filosofia estetica dal
1985. ha pubblicato tra l’altro Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero
negativo da Nietzsche a Wittgenstein
(Feltrinelli, Milano, 1976), Icone della Legge (Adelphi, Milano, 1985), L’Angelo necessario (Adelphi, Milano, 1986, nuova ed. 1994), Dell’inizio (Adelphi, Milano, 1990, nuova ed. 2001), Geo-filosofia
dell’Europa (Adelphi, Milano, 1994), L’Arcipelago (Adelphi, Milano, 1997), Arte, tragedia, tecnica (Raffaello
Cortina, 2000), Duemilauno - Politica e futuro (Feltrinelli, Milano, 2001). È stato deputato
italiano ed europeo. Dal 1993 al 2000 è stato sindaco di Venezia ed attualmente
Consigliere Regionale. La sua ricerca filosofica si è soprattutto concentrata
nella prima fase sul problema della critica contemporanea dell’idealismo
classico tedesco e sulla cultura mitteleuropea del primo Novecento. Nel corso
degli anni ’80 è andato approfondendo l’intreccio nella cultura contemporanea
tra tradizioni teologiche e ricerca filosofica. Negli ultimi anni la sua
ricerca si è indirizzata al nesso tra filosofia e politica nella storia
europea. In particolare, con Dell’inizio, Cacciari può essere
definito un vero e proprio «platonico», o meglio un «neo-platonico»
contemporaneo.
JAMES HILLMAN, americano di Atlantic City di origini
viennesi, è uno dei grandi filosofi contemporanei oltre che il più illustre
esponente della psicanalisi di matrice junghiana. Ha insegnato alle università
di Yale, Syracuse, Chicago e Dallas. Fra le sue ultime opere, continuamente
ristampate in Italia da Adelphi, ricordiamo Saggio su Pan (1977),
Il mito dell’analisi (1979), Re—visione
della psicologia (1983), Anima (1989; nuova edizione 1999), La vana fuga dagli dei (1991), Fuochi blu (1996), Il codice dell’anima (1997), Puer aeternus (1999), La forza del carattere (2000). Intellettuale lucidissimo e
anticonformista ha riportato al centro del dibattito filosofico l’antichissima
ma da tempo accantonata idea dell’ “anima”. Nei suoi due ultimi
saggi/interviste con Silvia Ronchey – L’anima del mondo e Il piacere di pensare (entrambi Rizzoli, 2001) - ci ha parlato del mondo in
cui viviamo rovesciando prospettive consolidate, sia che si tratti di dottrine
politiche, sia di economia, sia della natura, sia del ritorno degli antichi dèi
sotto nuove vesti, scuotendo i
nostri pregiudizi e illuminando di un nuovo significato il mondo che ci
circonda.
FRANCESCO DONFRANCESCO, è nato a Roma nel 1940. Ha studiato Medicina a Pisa.
Membro dell'Associazione Internazionale di Psicologia Analitica, lavora come
psicoterapeuta dal 1968. Vive nella campagna di Bagno a Ripoli, vicino a
Firenze. Dal 1988 dirige la rivista Anima e per l’editore Moretti & Vitali le collane Amore
e Psiche e Ritratti d’artista. Con questo stesso editore ha pubblicato nel 1996 Nello
specchio di Psiche, nel 1998 L’artefice
silenziosa e la ricostruzione di uno spazio interiore, nel 2000 Una poetica dell’analisi, mentre nel 1999 ha curato una raccolta di scritti
sparsi di Hillman intitolata Politica della bellezza.
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